#22 Parole che respingono: quali sono le tue? ❌
Un test sull'uso delle parole negli annunci di lavoro e l'illusione della meritocrazia.
Questo numero di Ojalá inizia con un piccolo test.
Immagina di star cercando lavoro e di imbatterti negli annunci che ti riporto tra poco: uno è nel settore dell'ingegneria, l'altro nella vendita di abbigliamento.
Per ogni annuncio trovi due versioni, scritte da due diverse (ma fittizie) aziende: ti va di dirmi quale ti ispira di più?
Annuncio ingegneria
Azienda A.
Siamo una comunità di ingegneri che tesse relazioni con decine di clienti soddisfatti.
Ci impegniamo a comprendere a fondo il settore dell'ingegneria.
Cerchiamo una persona con queste caratteristiche:
- Ottime capacità di comunicazione orale e scritta.
- Predisposizione alla collaborazione in squadra.
- Sensibile alle esigenze dei clienti, capace di sviluppare relazioni cordiali.
Azienda B.
Siamo una società di ingegneria leader nel settore che vanta molti clienti importanti.
Siamo determinati a distinguerci dalla concorrenza.
Cerchiamo una persona con queste caratteristiche:
- Forti capacità di comunicazione e di persuasione.
- Capacità di lavorare individualmente in un ambiente competitivo.
- Eccellenti capacità di soddisfazione delle esigenze dei clienti e gestione delle relazioni aziendali.
Annuncio abbigliamento
Azienda C.
La nostra speranza è riuscire a essere il miglior datore di lavoro nel settore della vendita di abbigliamento al dettaglio.
Sosteniamo in ogni modo i nostri dipendenti, e ci aspettiamo che anche loro mettano tutto il loro impegno nel lavoro che scelgono.
Cerchiamo una persona con queste caratteristiche:
- Disponibile a tempo pieno, con orari flessibili.
- Sorridente, con eccellenti capacità di comunicazione.
- Capace di lavorare con una supervisione minima.
- Sa motivare le persone del team a raggiungere il loro pieno potenziale sul lavoro.
Azienda D.
La nostra ambizione è essere il miglior datore di lavoro nel settore della vendita di abbigliamento al dettaglio.
Sfidiamo i nostri dipendenti a essere orgogliosi del loro percorso professionale con noi.
Cerchiamo una persona con queste caratteristiche:
- Disponibile a tempo pieno, con orari variabili.
- Spiccate doti di comunicazione.
- Capace di lavorare in modo indipendente.
- Sa sfidare le persone del team a raggiungere il loro pieno potenziale sul lavoro.
Ora segna su un pezzo di carta le due aziende che ti hanno ispirato di più. Leggendo l'annuncio del settore ingegneria, preferiresti l'azienda A o l'azienda B? E per l'annuncio del settore abbigliamento, preferiresti l'azienda C o l'azienda D?
Puoi dirmelo qui.
I due annunci che hai appena letto vengono da una ricerca canadese del 2011 di Danielle Gaucher, Justin Friesen e Aaron Kay, pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology e intitolata Evidence That Gendered Wording in Job Advertisements Exists and Sustains Gender Inequality.
Per dirla brevissima: gli annunci di lavoro che presentano parole afferenti alla stereotipata "sfera maschile" dissuadono le donne dal candidarsi.
Gli studi di questo tipo vanno avanti da decenni.
Già nel 1973, Sandra Bem e Daryl Bem furono tra i primi a studiare come gli annunci di lavoro che facevano trapelare una preferenza per i candidati uomini scoraggiassero le donne dal candidarsi, anche quando queste avevano tutti i requisiti richiesti.
Erano tempi in cui gli annunci di lavoro potevano ancora includere riferimenti espliciti al genere della persona ricercata per la posizione: negli Stati Uniti, l'indicazione dei pronomi he o she negli annunci di lavoro viene vietata proprio nel 1973 (in Italia ci penserà la legge 903/77 "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro".)
Ho iniziato ad approfondire questo tipo di ricerche grazie al blog di Textio, un software di scrittura aumentata sviluppato negli Stati Uniti che usa l'Intelligenza Artificiale per analizzare gli annunci di lavoro nel momento in cui si scrivono.
È uno strumento capace di identificare nei testi la presenza di gergo, di frasi troppo prolisse ma anche di parole che potrebbero risultare troppo legate a stereotipi maschili o femminili e quindi veicolare bias discriminanti.
Negli annunci di lavoro che ti ho presentato in apertura, per esempio, l'azienda A e l'azienda C usano parole più "femminili": comunità, impegno, predisposizione alla collaborazione, sensibilità e motivazione.
Le aziende B e D, invece, parlano di leader, di clienti importanti, di determinazione, persuasione, competizione, sfida: creano un immaginario molto diverso rispetto alle loro controparti, nonostante il significato degli annunci sia praticamente uguale.
Secondo lo studio canadese e altre ricerche più recenti citate negli articoli di Textio, l'uso di parole che ruotano intorno alla sfera semantica "maschile" allontana le donne dai settori tipicamente occupati dagli uomini.
Facciamo l'esempio del tech
Che è il settore che conosco meglio: storicamente dominato dagli uomini, in particolare bianchi, eterosessuali, benestanti.
Il pacchetto di bias che il mondo del tech si porta dietro lo rendono un settore con alte barriere all'entrata e percepito come poco accogliente da chi non rientra nella categoria dominante. Un mondo spesso ostico per persone con identità di genere femminile o non binaria, con disabilità o appartenenti a minoranze etniche.
Guarda i risultati di questa ricerca di Textio datata 2017 sulla relazione tra linguaggio e cultura aziendale in 10 big tech:
In questo articolo di Inc. trovi una descrizione testuale dei dati dell'infografica.
Il grafico mette a confronto Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft, Netflix, Salesforce, Slack, Twitter e Uber.
Ognuna di queste aziende usa un linguaggio distinto, dove spiccano espressioni quasi uniche che non si ritrovano in altre aziende concorrenti o affini. Textio ha analizzato 25.000 annunci di lavoro e misurato l'impatto che alcune delle espressioni più ricorrenti di queste aziende hanno sul numero di candidature inviate da uomini e donne.
Gli annunci di Amazon, per esempio, abbondano di "wickedly" (terribilmente), "fast-paced environment" (ambiente dinamico), "maniacal" (maniacale). Espressioni che statisticamente attirano molte più candidature da uomini che da donne.
Le offerte di lavoro di Slack, invece, pullulano di "lasting relationships" (relazioni durature), "meaningfully" (significativamente), "care deeply" (avere a cuore). Espressioni che statisticamente attraggono più candidature da parte delle donne.
Le donne sembrano trovare meno attraenti le aziende che comunicano con parole "maschili", e non tanto per il tipo di lavoro che propongono, ma per il senso di appartenenza che riescono a veicolare. Percepire un ambiente di lavoro poco accogliente, in cui probabilmente non ci si riconoscerà, porta le persone a scartare automaticamente l'offerta di lavoro.
Qual è l'impatto di questa percezione?
Secondo lo studio di Gaucher, Friesen e Kay, «a lungo andare, trovare certi lavori un po' meno attraenti, ma senza essere consapevoli delle ragioni esterne per cui questo accade, può far credere ad alcune donne di non essere interessate, per ragioni intrinseche, a certi tipi di lavoro.»
Anche quando magari non è vero.
Dice Kieran Snyder, CEO e fondatrice di Textio:
«Cambiare le parole non cambierà la cultura aziendale dall'oggi al domani. Ma puntare alla coerenza e all'intenzionalità del linguaggio genera un senso di responsabilità nei confronti delle persone con cui si lavora e dell'ambiente di lavoro che si vuol creare.»
Hai mai pensato alle parole che per te fungono da campanelli d'allarme quando leggi un annuncio di lavoro?
Io devo dire di averle ormai abbastanza chiare. Per me sono:
- leader
- ninja
- competitivo
- sotto pressione.
Mini glossario della comunicazione inclusiva:
Meritrocrazia
Dice la Treccani:
«Dall’ingl. meritocracy, composta del latino meritum (merito) e -cracy (-crazia).
Concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e spec. le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro.»
Quante volte hai sentito questo termine in ambito scolastico o professionale?
Ci auspichiamo che gli ambienti di lavoro siano meritocratici; crediamo che le promozioni sul lavoro, le cariche pubbliche, gli incarichi di riguardo, le proposte editoriali, debbano essere offerte per merito.
Come società fondata sul capitalismo, abbiamo costruito una visione in cui la meritocrazia garantisce che potere e privilegi siano assegnati in base al merito individuale e non alle origini (sociali, economiche, geografiche) delle persone.
Una grande, grandissima retorica collettiva, generatrice di dannosi ritornelli come il sempreverde “se vuoi puoi”.
Una retorica che non tiene conto delle barriere strutturali, sistemiche, sociali, che non permettono a tutte le persone di correre sulla stessa pista e alle stesse condizioni.
La cosa curiosa è che il termine meritocracy, da cui ha avuto origine la traduzione italiana, nasce con intento satirico.
Lo conia il sociologo Michael Young nel 1958 nel suo romanzo distopico The Rise of Meritocracy. Ambientato nel 2033, raccontava di uno storico che ripercorreva lo sviluppo nel tempo della società britannica. Young voleva mostrare la distopia di una società governata secondo "meritocrazia".
Dice Kwame Anthony Appian in questo articolo sul Guardian:
«In quel lontano futuro, la ricchezza e il dominio si guadagnavano, non si ereditavano. La nuova classe dirigente era determinata, scriveva l'autore, dalla formula "QI + impegno = merito".
La democrazia avrebbe lasciato il posto al dominio delle persone più intelligenti: non un'aristocrazia di nascita, non una plutocrazia di ricchezza, ma una vera meritocrazia del talento.»
Peccato che Young sia stato preso sul serio. E lui non ne fu per niente contento, anzi. Nel 2001 confessava di sentirsi «tristemente deluso» dal suo libro. Traduco dall'articolo del Guardian:
«Ho coniato una parola che è diventata molto comune, soprattutto negli Stati Uniti, e che di recente ha trovato un posto di rilievo nei discorsi del signor Blair. [...]
La meritocrazia aziendale va molto di moda. Se i meritocrati credono, come sempre di più sono incoraggiati a fare, di venire promossi grazie ai loro meriti, possono sentirsi legittimati a meritare qualsiasi cosa.
Possono compiacersene in modo insopportabile, molto più delle persone che sanno di aver ottenuto la promozione non per i propri meriti ma perché hanno beneficiato, figlio o figlia di qualcuno, del nepotismo. Possono davvero credere di avere l'etica dalla loro parte.
L'élite è diventata così sicura di sé che non c'è quasi nessun ostacolo alle ricompense che si arroga. I vecchi vincoli del mondo degli affari sono stati rimossi e, come anche il mio libro aveva previsto, sono stati inventati e sfruttati tutti i modi nuovi di riempire il proprio nido.»
È la legittimazione morale della disuguaglianza, come scrive Vittorio Pelligra in questo bellissimo articolo de Il Sole 24 Ore:
«Qual è il prodotto di questa retorica, se non una sconfinata “hybris”, da parte di quelli che prosperano e, contemporaneamente, un crescente senso di esclusione, risentimento e rancore, da parte di quelli che non ce la fanno?»
Eh.
Per questo lunedì ho finito.
Ojalá è un progetto aperto e in evoluzione: se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri o di collaborazione, scrivimi senza indugi.
Ti basta rispondere a questa email.
A presto,
Alice