Neutro o pluriverso? ☯️
#24
Ciao!
Sono Alice Orrù e questa è Ojalá, la newsletter che parla di scrittura e rappresentazione inclusive, begli esempi di accessibilità sul web e storie variopinte.
Io faccio la copywriter, traduco molti prodotti WordPress e ho il pallino per il linguaggio inclusivo e accessibile. Vivo a Barcellona dal 2012 e per questo la mia newsletter contiene giocoforza anche qualche incursione di vita catalana e tanta, tanta salsa brava.
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Da poco ho imparato una nuova parola: pareidolia.
Deriva dal greco eidolon (εἴδωλον), 'immagine', più il prefisso para (παρά), 'vicino'.
È quel fenomeno per cui il nostro cervello tende ad associare modelli conosciuti – come volti o forme familiari – a stimoli ambigui e casuali.
Ci affidiamo a un'illusione pareidolitica quando ci sembra di vedere nuvole con forme animali o il volto di Napoleone nel profilo del Monte Arcuentu in Sardegna.
Come spiega l'ingegnere informatico ed esperto di neuroscienze Jeff Hawkins, il cervello è una sorta di macchina da pronostico: quando ci troviamo di fronte a informazioni ambigue, abbiamo bisogno di renderle concrete associandole a modelli simili conosciuti.
Ne parlano anche Pascal Gygax, Sandrine Zufferey e Ute Gabriel nel saggio “Le cerveau pense-t-il au masculin?” (Il cervello pensa al maschile?), edito da Le Robert. Traduco da pag. 52:
«Il genere grammaticale maschile ha anche un significato "generico", che il genere grammaticale femminile non ha. La nozione di significato generico è già di per sé ambigua. Da un parte può essere interpretato come significato neutro. In termini psicologici, la nozione di neutro può voler dire sia che la persona a cui fa riferimento la parola "il medico" è androgina, cioè non è possibile assegnarle un genere, o semplicemente che non si identifica né nel genere femminile né in quello maschile. In una società come la nostra in cui il genere è spesso considerato binario, è molto difficile leggere il genere in modo neutro.»
E a questo punto il saggio propone un esperimento: prendi carta e penna e prova a disegnare il volto di una persona neutra o androgina.
Una volta terminato, mostra il tuo disegno a un'altra persona e chiedile di che genere è il volto della persona che hai disegnato.
Dicono Gygax, Zufferey e Gabriel:
«Molto probabilmente ti risponderanno che è il viso di un uomo. Nei nostri esperimenti in laboratorio abbiamo provato a usare un software che disegnasse dei volti per i quali era praticamente impossibile dire se si trattasse di uomini o donne. Ma quando li abbiamo presentati alle persone che partecipavano ai nostri test, quasi tutte hanno visto degli uomini. In una società in cui gli uomini sono considerati come "lo standard", abbiamo probabilmente la tendenza a interpretare dei volti ambigui come maschili.
[...]
Il punto è che la nozione di neutralità è una nozione psicologica che non è facile da definire o concepire. Questo è vero per i volti, ma anche per la forma grammaticale maschile.»
Curiosamente, solo pochi giorni dopo ho trovato lo stesso concetto applicato anche al design (grafico ma non solo). Dice August Tang, product designer queer e trans:
«Il concetto di design universale e senza genere è un'illusione.
Il design svizzero (ndt. lo stile tipografico internazionale detto anche stile svizzero) perpetua l'idea che la mascolinità sia la norma; la mascolinità equivale alla neutralità.
Un esempio parallelo si trova anche nell'industria della moda. L'androginia nel contesto dell'abbigliamento è spesso sinonimo di abbigliamento maschile. Cercando su Google "moda gender-neutral", la maggior parte dei risultati sono t-shirt, maglioni informi, felpe con cappuccio.
[...]
Per quanto chi lavora nel design possa desiderare di cancellare o neutralizzare il genere, i tentativi di de-genderizzare un prodotto o uno spazio spesso si traducono in uno stile semplice che tende alla mascolinità.»
Tang prosegue mostrando come i tentativi di approcciare il genere (o la sua assenza) nel design, finiscano per perpetrare una visione binaria del genere.
Accettiamo il fatto che non possiamo fare design senza connotazioni di genere. Però, prosegue Tang, possiamo abbracciare la "gender fuckery", la fluidità di genere nel nostro modo di pensare e creare:
«Il design che riconosce una realtà fluida dal punto di vista del genere ha più potenziale per arricchirsi di cultura, significato e scopo. La "gender fuckery" è la pratica di sovvertire le tradizionali norme binarie di genere attraverso la mescolanza, la fusione e la flessione delle espressioni di genere.»
Perché non creare allora in modo pluriversale invece che universale?
Sintesi del concetto di design per il pluriverso, tratto dall'articolo di Tang.
Con un approccio intersezionale ai temi della cultura, della razza, della classe sociale, del genere, della sessualità e della disabilità, possiamo creare soluzioni che celebrano e riconoscono le differenze delle persone, piuttosto che forzarle in un'unica soluzione "neutra".
È un approccio in cui mi riconosco molto e che in fondo già uso nella mia pratica di scrittura inclusiva: quella che non sceglie una soluzione unica e irremovibile, ma che abbraccia fluidamente la soluzione più adatta al contesto per cui scrivo.
Cosa ne pensi tu?
Mini glossario della comunicazione inclusiva
Per il contributo di questa settimana ho invitato Giuditta Rossi, co-autrice del progetto di advocacy Color Carne e co-fondatrice dell'agenzia di comunicazione Bold Stories.
La parola che Giuditta ha scelto è perfetta per smontare un concetto ingannevolmente neutro che ancora oggi vediamo usato in molti prodotti:
Color carne
Di che colore è il color carne?
Una domanda a cui è semplice rispondere: è un rosa, beige chiaro, effetto nudo.
Lo dicono anche i principali dizionari italiani:
«Color carne: di colore rosa pallido, simile a quello della carne umana.»
(Fonte: Treccani. Con lievi variazioni anche Devoto-Oli, Garzanti Linguistica, Hoepli, Vallardi, e altri, 22.2.22).
Il colore della carne umana è solo… rosa?
L’idea di color carne = rosa presuppone, spesso inconsciamente, che la pelle di una persona bianca sia la norma.
È la dimostrazione di come concetti apparentemente innocui, in particolare nel linguaggio e nelle rappresentazioni visive, contengano invece impliciti pregiudizi e discriminazioni, e come basti poco per cambiare punto di vista.
Per questo Bold Stories ha da poco lanciato il progetto di advocacy Color Carne. L'obiettivo è cambiare la percezione del color carne in Italia e nei Paesi in cui questa terminologia è ancora utilizzata.
È un invito per chiunque si occupi di comunicazione a ripensare la definizione di color carne come è stato fatto, per esempio, nei dizionari di lingua inglese, in cui è stato aggiunto un avviso che sottolinea come l'equivalenza color carne e rosa sia ormai un concetto superato, non inclusivo e offensivo (uno per tutti Dictionary.com).
Ed è una chiamata all’azione anche per i brand, per progettare prodotti sempre più inclusivi.
Hai mai pensato ai cerotti, ad esempio?
Anche quelli sono color carne = rosa, tanto che il caso dei cerotti di diverse tonalità di Tesco e Band-Aid sono stati accolti come una vera e propria rivoluzione, facendo sentire tante persone viste per la prima volta.
Per approfondire, sul sito colorcarne.it trovi anche altri casi studio e strumenti che mostrano come questa tematica viene affrontata nel mondo e in diversi settori: dall’editoria, ai prodotti e ai progetti artistici.
Color carne non è solo un colore. Cambiamo colore al color carne, da rosa a tutti i colori dell’umanità: ✊🏻 ✊🏼 ✊🏽 ✊🏾 ✊🏿
Piccola postilla:
Ho scritto il numero #23 di Ojalá con un umore così abbattuto che ho dimenticato di ringraziare tutte le persone che hanno partecipato con entusiasmo al del 14 febbraio.
Il mio piano Mailchimp purtroppo non permette di rispondere ai messaggi che arrivano tramite sondaggio, ma ho conservato le risposte e sono molto grata per tutte le opinioni che ho ricevuto.
Per questo lunedì ho finito. In questo periodo sto lavorando a due progetti molto grossi e con scadenze strette che striminziscono i miei tempi.
Per riuscire a respirare meglio ho deciso di mettere in pausa Ojalá per qualche settimana. Tornerò dopo Pasqua, quando – se tutte le divinità dell'Olimpo mi assistono – mi sarò lasciata alle spalle una prima consegna.
Se al mio ritorno sarai ancora qui, beh, ti ringrazio. 💙
Intanto, se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri o di collaborazione, scrivimi senza problemi. Ti basta rispondere a questa email.
A presto,
Alice