Beautiful People
#26
Ciao!
Sono Alice Orrù e questa è Ojalá, la newsletter che parla di scrittura e rappresentazione inclusive, begli esempi di accessibilità sul web e storie variopinte.
Io faccio la copywriter, traduco molti prodotti WordPress e ho il pallino per il linguaggio inclusivo e accessibile. Vivo a Barcellona dal 2012 e per questo la mia newsletter contiene giocoforza anche qualche incursione di vita catalana e tanta, tanta salsa brava.
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Pochi giorni fa sono diventata zia. Mi sciolgo in giubilo e tenerezza massima alla vista di questa personcina che si stiracchia nella culla di vimini e spalanca gli occhi attenti, scrutando l'aria che la circonda.
Mentre mia sorella riposa sul divano tra una poppata e l'altra, mi racconta che il reparto di ostetricia è andato in visibilio di fronte all'infante.
«L'hanno pesata più volte, evidentemente leggere 4,3 kg non è più così comune? Non so. Ripetevano a chiunque “è grandissima, grandissima!”. Qualche ora dopo l'hanno eletta la più bella del reparto e la voce si è sparsa in fretta: “è nata una bambina bellissima, venite a vederla, gli altri bambini non reggono il confronto”, hanno detto».
Il mio cuore di zia sulle prime assente: nipote adorabile, ci credo che hai ammaliato tutto il reparto!
Però la storia dell'elezione a più bella mi scomoda, e il confronto con gli altri bambini – seppur detto tanto per dire – ancora di più.
Non sono passate nemmeno 48 ore da quando quest'esserino è uscito dall'utero materno e le parole che le hanno già cucito addosso sono: bella, grandissima e più bella di.
La tendenza a definire e posizionare le persone su una scala di bellezza ha marcato la mia giovinezza. Non erano solo la pressione mediatica, le pubblicità alla tv, i consigli di bellezza sul Cioè: le persone in carne e ossa intorno a me mettevano il carico da novanta.
Sii bella ma naturale, ché se ti trucchi troppo sembri una poco di buono.
Hai dei begli occhi, dovresti valorizzarli di più.
E sorridi, che sei più bella.
Hai visto come si è fatta bella tizia? È dimagrita molto.
Era bella da giovane, ma ormai è irriconoscibile.
Non essere bella era una colpa, non volersi sforzare di essere più bella di era quasi un'offesa.
Un'offesa al sistema, alla mano invisibile che avrebbe regolato il nostro posto nel mondo o alla famiglia, alla proprietà privata e all'amore (come canterebbe Silvio Rodríguez)?
Più sotto, nel mini glossario della comunicazione inclusiva, trovi qualche tentativo di risposta.
“Trovami una donatrice bella”
Se ho iniziato a occuparmi di linguaggi inclusivi lo devo anche ai tre anni di lavoro per una clinica di riproduzione assistita di Barcellona. Ero “coordinatrice delle pazienti internazionali”: seguivo a distanza, via email e telefono, in italiano, francese e inglese, le pazienti che realizzavano un trattamento di fertilità seguendo il piano terapeutico della clinica.
Tra le mie mansioni c'era anche quella di selezionare le donatrici anonime di ovociti per le pazienti che ricorrevano a una fecondazione eterologa.
Il medico studiava la storia della paziente e ci passava le istruzioni; noi assistenti dovevamo scartabellare l'enorme database delle donatrici di ovociti per trovarne una che, oltre a rispettare certi parametri stabiliti dalla clinica, fosse anche il più somigliante possibile alla paziente.
È una storia un po' distopica; non è stata una passeggiata digerire la responsabilità di avere un ruolo del genere nella scelta del DNA materno di tante future persone.
Non mi soffermo sull'ovvia difficoltà che, per molte persone, rappresenta la scelta di ricorrere a una ovodonazione. Quella è un'altra storia e non ne parlerò ora.
Oggi voglio ricordare le conversazioni con certe pazienti (e loro partner) che vertevano sulla bellezza della donatrice.
Dopo più di sette anni, ricordo ancora con curiosità intervallata da sporadici “sto sentendo bene?” le richieste di alcune pazienti.
C'erano le lievi speranze di un riscatto estetico:
– Non sono mai stata bella, spero che la donatrice lo sia più di me!
C'erano le richieste precise:
– Deve essere alta come me, almeno uno e settanta. È importante anche la consistenza del capello; poi, se guarda bene la mia foto, vedrà il colore ambrato tendente al violetto dei miei occhi, ecco, così. Ovviamente denti dritti e bocca carnosa.
C'erano i partner che pensavano di essere su Tinder:
– Cerchi una donatrice che assomigli a Jennifer López!
Erano richieste che covavano la speranza di generare una persona che potesse godere del privilegio della bellezza.
Mini glossario della comunicazione inclusiva
Per il contributo di questa settimana ho invitato Erika Marconato, lettrice e scrittrice. È una persona che trova fondamentale mettere in discussione i propri pregiudizi e affrontare di petto le parole che fanno più male che bene.
Lookismo
Lookismo è l’italianizzazione di lookism, la parola che gli anglofoni usano per descrivere “il trattamento discriminatorio verso le persone che sono considerate fisicamente poco attraenti” (Fonte Wikipedia). Va a braccetto con i bias legati all’aspetto fisico ed è quello che succede a chi non gode dei vantaggi della bellezza - o pretty privilege in inglese.
Definire “attraente” o “bello” in maniera universale è piuttosto difficile: ci ha provato nel 2014 Esther Honig che ha chiesto a fotografi di varie parti del mondo di renderla bella con risultati molto diversi da paese a paese.
Nonostante questo, le persone attraenti sembrano essere più facili da percepire per il nostro cervello, almeno stando a uno studio rilanciato dall’associazione americana degli psicologi.
Ma cosa significa attraente?
Per la maggior parte delle persone, si tratta di una specie di standard o di norma che include, ma non si limita a, corpi cisgender, magri, curati, abili e dai colori chiari. Il che significa che moltissimi di noi hanno un bias positivo nei confronti delle persone che corrispondono a questa descrizione e, di conseguenza, uno negativo verso chi attraente non è - o meglio, verso chi in questa descrizione non rientra.
Questo pretty bias associa alla bellezza fisica caratteristiche che non hanno niente a che fare con il DNA: produttività, salute mentale, intelligenza, assertività e perfino caratura morale (il che, diciamolo, non è una novità degli ultimi tempi visto che già Platone collegava la bellezza alla verità).
Questa tendenza ad associare una superiorità morale alle persone attraenti ha conseguenze concrete. Per esempio, nel 2006 la BBC ha rilanciato un annuncio per entrare in Marina che dichiarava che altezza, bellezza e gentilezza erano prerequisiti per potersi candidare.
Ma significa anche che, indipendentemente dal tuo lavoro, la vita con te sarà un po’ più buona: migliori possibilità di carriera, condizioni più favorevoli nei rapporti bancari, giurie pronte a concedere il beneficio del dubbio e, in generale, accesso a più risorse.
E se invece non rientri nella categoria dei belli? Ti tirano le pietre! Non letteralmente, ma quasi sicuramente guadagnerai di meno, potresti avere un trattamento diverso in ospedale e, statisticamente, avrai più possibilità di subire bullismo e discriminazione più o meno espliciti.
Ti lascio qualche lettura sul tema:
Cinque minuti di introduzione e alcuni piccoli passi per affrontare a livello personale i bias legati alla bellezza: The beauty bias, why we treat ourselves and each other unfairly.
Janet Mock per Allure riflette sull’intersezionalità di essere bella e trans: Being pretty is a privilege but we refuse to aknowledge it.
Una reazione al pezzo precedente, di Grace O’Connell-Joshua: Pretty privilege, let's talk about it.
Qualche consiglio di lettura per imparare dai romanzi, su Literary Hub: Reading Women on books that reckon with beauty privilege.
Altre cose che ho letto
Sambu Buffa, consulente di marketing inclusivo, ha scritto un post su LinkedIn a proposito dell'ultimo spot tv di Layla Cosmetics: «È razzista perché associa in modo sessualmente esplicito il nero, l'immagine dell'uomo, e il suo organo genitale, supportando il più vecchio degli stereotipi: “è vero che gli uomini africani lo hanno più lungo?”. Questo tipo di rappresentazione visiva, di messaggio, è razzista, che piaccia o meno». La discussione continua nei commenti e ti consiglio di leggerla.
Come saremmo oggi se le pubblicità dei prodotti di make-up fossero state diverse, eterogenee, variegate come la diversità umana? Se lo sono chieste la fotografa Julia Comita e la truccatrice Brenna Drury, che hanno ingaggiato modell3 di colori diversi e identità di genere non binarie per ricreare campagne di cosmetici degli anni '70.
Hai mai conversato di Intelligenza Artificiale con un chatbot femminista? Potresti iniziare da una chiacchierata con F'xa, chatbot creato dal collettivo Feminist Internet per educare le persone sulle discriminazioni perpetuate da un certo tipo di Intelligenza Artificiale.
Per questo lunedì ho finito. Se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri o di collaborazione, scrivimi senza problemi.
Ti basta rispondere a questa email.
📚 Spazio mini promo: ho scritto un libro con Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi! Si chiama Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile. Uscirà per Flaco Edizioni a giugno 2022. Puoi già preordinarlo da qui.
A presto,
Alice