#33 La politica nelle parole
TW: Questa newsletter contiene parole molto offensive. È politica e scomoda, le protagoniste sono le parole di cui ci riappropriamo.
¿Quién soy?
Soy lo que quiero ser: soy hermana, soy amante y
amiga de quien quiero ser.Afirmo que la puta es mi madre
y que la puta es mi hermana
y que la puta soy yo
y que todos mis hermanos son maricones.
No nos basta enunciar ni vocear nuestras diferencias:
Soy mujer,
Soy lesbiana,
Soy india,
Soy madre,
Soy loca,
Soy puta,
Soy vieja,
Soy joven,
Soy discapacitada,
Soy blanca,
Soy morena,
Soy pobre.María Galindo, “Feminismo urgente. ¡A despatriarcar!”, 2013
Hai appena letto l’esergo di Lectura fácil, romanzo della scrittrice andalusa Cristina Morales. L’ho sentito recitare a voce alta la settimana scorsa, dal vivo, durante un incontro del Festival di Letteratura Italiana di Barcellona; ho avuto difficoltà a trattenere le lacrime di rabbia e fierezza che queste parole mi hanno suscitato.
María Galindo, attivista transfemminista boliviana, ha scritto il testo dell’esergo molti anni fa per recitarlo sul palco della giornata del Movimiento Gay messicano. Lo ha dedicato a tutte le persone «che vivono enunciando di continuo le loro differenze».
Cristina Morales lo ha ripreso per introdurre il suo romanzo che in italiano si intitola Lettura Facile, edito da Guanda. Roberta Arrigoni ha tradotto così l’esergo (le prime due righe tra parentesi non compaiono nel libro, le ho aggiunte io per completare la traduzione del testo originale di Galindo):
[Chi sono?
Sono quello che voglio essere: sono sorella, amante e amica di chi voglio essere.]
Affermo che la puttana è mia madre
e che la puttana è mia sorella
e che la puttana sono io
e che tutti i miei fratelli sono froci.
Non ci basta enunciare o gridare le nostre differenze:
Sono donna,
Sono lesbica,
Sono india,
Sono madre,
Sono pazza,
Sono puttana,
Sono giovane,
Sono vecchia,
Sono giovane,
Sono disabile,
Sono bianca,
Sono nera,
Sono povera.
Prima di sabato scorso non conoscevo María Galindo, non conoscevo Cristina Morales, non ero pronta per un incedere così irato di parole usate come contro-armi.
Tornata a casa, ho subito iniziato a leggere Lectura Fácil, che poi di facile ha poco.
Morales è una scrittrice anarchica, sia artisticamente che politicamente, che disegna quattro donne con disabilità che vivono insieme in un appartamento del barrio marinero di Barceloneta, a Barcellona.
La sua scrittura è incalzante e furiosa. Lectura Fácil è un romanzo, un manifesto, una fanzine, una denuncia contro la violenza dell’eteropatriarcato che permea la società e le istituzioni. Ma celebra anche il corpo, la sessualità femminile, il movimento scomposto. E inneggia al potere rivoluzionario del linguaggio, che Morales brandisce come strumento di potere anticonformista.
Per me, una scoperta detonante in questo periodo in cui le rivendicazioni delle donne — contro il regime in Iran, per la tutela di un aborto libero e sicuro in Italia — si prendono spazio tra le pagine dei media.
Per captare la visione di María Galindo, puoi leggere questa sua intervista del 2015 per la testata El Salto. Te ne lascio un estratto tradotto da me:
María Galindo è una di quelle persone scomode che non lasciano indifferenti. Dopo 23 anni di attivismo nel collettivo boliviano Mujeres Creando, è riuscita a consolidarsi come punto di riferimento del movimento femminista e a essere una spina nel fianco di ONG, governi e di chiunque abbia cercato di porsi come "voce delle donne".
Con un femminismo costruito a partire dalla vita quotidiana, l'autrice affronta quella che definisce la "rivoluzione femminista fallita" e il ruolo svolto dalle istituzioni e dalle organizzazioni internazionali come traduttori dei movimenti di lotta, incaricati di scrivere i documenti ufficiali a loro nome, imponendo categorie e depoliticizzando il linguaggio.«Anche la parola femminismo ci viene rubata. Uno degli effetti del potere è quello di divorare tutto, di diventare il tutto, che nulla abbia significato al di fuori di quello che il potere assegna alle cose; da qui la necessità di appropriarsi della parola, del territorio femminista, la necessità di cooptarla, divorarla e spogliarla del suo significato sovversivo e inquietante.»
(Se ti interessa leggere il saggio di Galindo, lo trovi in pdf sul sito di Mujeres Creando, però è disponibile solo in spagnolo).
Rivendicare le nostre parole dà loro una nuova forza politica.
Negli anni è successo spesso all’interno dei movimenti per i diritti civili e, come accade di frequente, i precedenti vengono dal mondo anglofono.
Alcuni esempi. Parte della comunità LGBTQIA+ ha ormai rivendicato la parola queer, un tempo insulto per le persone omosessuali e ora termine ombrello che accoglie lo spettro di identità di genere e orientamenti sessuali/romantici che non sono cisgender o eterosessuali. L’uso autoironico e rivendicativo di epiteti omofobi esiste anche in italiano e in spagnolo. Bitch è un insulto sessista in inglese, ma le donne non lo considerano tale quando lo usano per appellarsi tra loro in modo scherzoso o affettuoso. ***
E poi: il movimento per la fat acceptance ha rivendicato l’uso dell’aggettivo grassa/grasso come parola neutra, non connotata negativamente; molte persone con disabilità preferiscono parlare di sé con un linguaggio identity-first, mettendo l’accento sulla loro identità di persone disabili (come, appunto, “persona disabile” invece che “persona con disabilità”, o ancora “persona cieca” o “persona sorda”).
Come spiega la filosofa del linguaggio Mihaela Popa-Wyatt, «il processo di rivendicazione di ogni epiteto denigratorio deve essere compreso nei termini di una specifica storia di oppressione e degli obiettivi politici della comunità».
Con Lectura Fácil mi sono tornate in mente alcune delle parole che non ho voluto perdere perché raccontano un frammento della mia identità. Ho raccolto anche quelle che altre persone hanno usato per definirmi con disprezzo. Sono parte della mia rabbia e me ne riapproprio. Naturalmente non sono tutte qui, ce ne sono molte altre che tengo per me.
E allora. Sono un’emigrata e sono un’immigrata. Sono terrona, sarda e campidanese. Sono femminista. Sono ansiosa, altamente sensibile, pigra, solitaria, sono egoista. Sono una culo inquieto, una persona privilegiata, una “donna sbagliata”.
Nati, una delle protagoniste di Lettura Facile, probabilmente direbbe che sono anche una eurocentrica di sinistra e, per quanto mi dolga e stia riflettendo molto su questa eredità scomoda, l’essere cresciuta in un certo contesto italiano e con un comodo passaporto bordeaux credo che le darebbe ragione.
E tu, di che parole ti sei riappropriatə o vorresti riappropiarti?
*** N.B. Questo significa che possiamo usare con nonchalance tutte le parole considerate insulti (siano essi omofobi, sessisti, razzisti o abilisti), perché “tanto conta l’intenzione”? No, affatto. Come scriveva Francesca Anelli sul L’indiscreto qualche tempo fa, «invece di chiedersi “perché non dovrei usare quel termine?”, varrebbe la pena farsi la domanda opposta: “perché dovrei usarlo? Che agenda porto avanti, facendolo?”».
Prestiti
Letture, visioni e ascolti che ho apprezzato nelle ultime tre settimane:
1.
Mariachiara Montera, nel suo nuovo podcast Guscio esplora il tema della psicoterapia. E anche lei si riappropria di alcune parole, come vulnerabilità, al capitolo 3:
La Treccani, come sinonimi di vulnerabilità, mette: debolezza, fragilità, sensibilità. La vulnerabilità è una cosa brutta, quindi? Qualcosa che ci rende deboli, qualcosa di cui vergognarci, o no?
Una delle cose che ho capito da adulta, è che alcune sensazioni si rifanno al nostro vissuto, certo, ma anche a una determinata cultura. Essere vulnerabili, venti anni fa, nella cultura italiana era qualcosa di cui vergognarsi, da bambini come da adulti. Anche oggi, in realtà, ma forse un po’ di meno.
[…] Ma forse, in maniera ingenua, penso che se a dieci anni la mia scuola, la cerchia dei miei amici e la mia famiglia avessero saputo inquadrare la vulnerabilità con più consapevolezza, qualche seduta me la sarei risparmiata.
Voi siete a vostro agio nell’essere vulnerabili? Vi sentite a vostro agio se piangete? Siete abituati a portare fuori quello che pensate vi renda deboli? Ogni persona è e si sente fragile a modo suo; ma se proviamo insieme a cercare un comune denominatore di come si esprime la vulnerabilità, spesso vediamo che non si esprime, che sta lì, sotto le coperte con noi, e figurati se parlo con qualcuno di come mi sento, del perché sto male!
2.
In Spagna, la proposta per abbassare l’IVA sui prodotti per l’igiene mestruale sembra finalmente concretizzarsi: è stata inserita nel bilancio 2023. 🤞
Grazie alla newsletter Cuarto Propio di ElDiario.es, ho recuperato il reportage di Marta Borraz e Ana Requena Aguilar, uscito lo scorso maggio, che si intitola La povertà invisibile che si nasconde dietro il tabù delle mestruazioni.
Ne traduco un frammento:
«Per molte si tratta di scegliere tra mangiare o comprare un assorbente», sintetizza Ana, una delle donne parte di Somos Tribu Mujeres, che distribuisce salvaslip, assorbenti e tamponi di diverse misure, ma anche bagnoschiuma, shampoo, deodoranti e rasoi. Queste donne hanno iniziato a collaborare con la dispensa alimentare allestita nel quartiere dopo lo scoppio della pandemia; presto si sono rese conto che «quasi mai si donano questi prodotti» e che i pochi disponibili «erano assorbenti specifici e molto grandi, non adatti alla maggior parte delle donne giovani», racconta l'autrice. Al momento vengono assistite circa 80 donne al mese.
[...]
Alma insiste sul fatto che la lotta alla povertà mestruale non deve riguardare solo l'accesso ai prodotti in generale, ma anche a prodotti di qualità.
«La scelta di un prodotto rispetto a un altro ha implicazioni fisiche e di salute. Nei supermercati si trovano assorbenti o tamponi che contengono sbiancanti o profumi tossici, addirittura vietati in certi Paesi», spiega l'autrice. Alcuni di questi prodotti, a contatto con le mucose, possono causare prurito, micosi, irritazioni, secchezza o allergie.È qui che entra in gioco la necessità di una buona educazione mestruale.
«Senza una buona informazione, è probabile che non si venga a sapere che alcuni dei propri disagi sono causati dai prodotti mestruali usati. Usare assorbenti di scarsa qualità a basso prezzo ha un costo economico – ovuli, creme, visite mediche – e un costo sanitario», continua Paloma Alma. Per quanto riguarda la questione della buona o cattiva qualità, lamenta il fatto che ancora oggi le aziende non sono obbligate a specificare tutti i componenti dei loro prodotti.
3.
Manuela Stacca scrive della decostruzione della maternità che recenti film e serie tv stanno portando sullo schermo. Un lato difficile, equivoco e disturbante di ruoli e scelte delle donne che sono anche madri:
Anche nel film Ema (2019) di Pablo Larraín ritorna il tema dell’abbandono materno: la protagonista è una ballerina, moglie e madre che decide di riportare il figlio adottivo ai servizi sociali, a seguito di un incidente, per poi cambiare idea poco dopo.
[…] Ed è questo a rendere la pellicola così rivoluzionaria: la protagonista incarna una maternità sregolata, scandalosa e imprevedibile che trasgredisce tutte le norme morali e di genere. “Io sono il male”, dice con tono provocatorio al padre adottivo di Polo, “Io ti spaventerò. Quando saprai quello che sto facendo e il perché, ti spaventerai”. In questo senso, Ema rivendica il desiderio di essere mostruosa, di essere un soggetto altro, difforme, che terrorizza e destabilizza lo status quo della società etero-patriarcale, per rivendicare la propria autonomia, personale, artistica e sessuale. Forse, allora, è proprio questa la via per decostruire la maternità: raccontare figure femminili così complesse e libere da fare spavento.
4.
Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura. ❤️
A fine agosto, in un mercatino di libri in Normandia, ho trovato Une femme, l’opera che racconta la vita di sua madre. Ma il primo libro di Ernaux che mi ha fatto dire “sì, ti voglio leggere ancora e ancora”, è stato L’evento.
Te ne lascio due piccoli brani:
Dopo il tentativo fallito ho telefonato al dottor N. gli ho detto che non volevo «tenerlo» e che mi ero ferita. Era falso, ma era mia intenzione fargli sapere che ero pronta a tutto pur di abortire. Mi ha detto di correre subito da lui. Ho creduto che avrebbe fatto qualcosa per me. Mi ha accolta in silenzio, con un’espressione grave. Dopo avermi visitato mi ha detto che andava tutto bene, mi sono messa a piangere, si è seduto alla scrivania, il capo chino, l’aria afflitta e tormentata. Ho pensato stesse ancora lottando con sé stesso e che avrebbe finito per cedere. Ha rialzato la testa: «Non voglio sapere dove andrà. Ma deve prendere la penicillina, otto giorni prima e otto giorni dopo. Le faccio la ricetta».
E:
Con questo racconto è tutto un tempo che si è messo in moto e mi trascina mio malgrado. Ora so di essere determinata ad andare fino in fondo, qualsiasi cosa accada, nello stesso modo in cui lo ero, a ventitré anni, quando ho strappato il certificato di gravidanza.
Ti saluto con questa versione di Bella Ciao in persiano:
Per questo lunedì ho finito. Se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri o di collaborazione, scrivimi senza problemi.
Ti basta rispondere a questa email.
A presto,
Alice
📚 Spazio mini promo: Scrivi e lascia vivere è il manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile che ho scritto insieme a Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi per edizioni Flacowski. Puoi ordinarlo sul sito della casa editrice, in tutte le librerie online o in quella più vicina a te.
Lacrime e brividi questa newsletter, forse non dovevo leggerla in una biblioteca. Ma anche sì, mi va bene essere quella che piange in pubblico quando si emoziona. Mi riapproprio di questo.