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#44 Non staremo mica esagerando?
Ah, no. Abbiamo ancora molte storie da recuperare. Ultimi appunti dall'Australia.

Durante tutti i martedì che ho passato a Melbourne, io e mia zia avevamo un appuntamento alle 20:30: una nuova puntata di Insights, programma in prima serata dell’emittente pubblica australiana SBS.
Ogni settimana la conduttrice Kumi Taguchi intavola un dibattito tra diverse persone in studio per approfondire un argomento. In Italia lo chiameremmo, immagino, talk show.
Uno dei primi episodi che ho visto era intitolato Politically incorrect: have we gone too far? (“Politicamente scorretto: stiamo esagerando?”).
Si trova anche su YouTube:
Questa puntata parte dal tema controverso della festa nazionale australiana, l’Australia Day, che si celebra il 26 gennaio.
È una data contestata perché ricorda la fondazione del primo insediamento europeo permanente nelle terre dei popoli Aborigeni e delle Isole dello Stretto di Torres. Insediamento che di fatto diede via alla colonizzazione dell’Australia.
Come si legge nel sito del National Museum of Australia:
L'arrivo della Prima Flotta a Sydney Cove nel gennaio del 1788 segna l'inizio della colonizzazione europea dell'Australia. La flotta era composta da 11 navi che trasportavano galeotti dalla Gran Bretagna all'Australia. Il loro arrivo cambiò per sempre la vita degli Eora, originali proprietari Aborigeni della terra nell'area di Sydney, e diede inizio a diversi viaggi di trasporto di detenuti che durarono fino al 1868.
L’espropriazione delle terre Aborigene senza alcun trattato, la conseguente segregazione delle comunità Indigene (le cui voci non sono ancora riconosciute nella Costituzione né in Parlamento) e l’impatto disastroso sulla loro cultura e identità, sono tra i motivi per cui la data del 26 gennaio viene ribattezzata Invasion Day o Survival Day.
È da anni che sempre più voci dell'opinione pubblica chiedono di cambiare la data della festa nazionale australiana. Un po’ come succede con il 12 ottobre in Spagna.
Ma torniamo a Insights.
Il tema della puntata di cui parlo abbracciava le tante facce del politicamente scorretto, tema infuocato anche in Australia.
Kumi Taguchi discute con persone di background e opinioni molto diversi, tra cui: Nala Mansell, attivista palawa che si dedica a promuovere i diritti, la cultura e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità aborigene in lutruwita/Tasmania; Laura Pettenuzzo, autrice, attivista per i diritti delle persone con disabilità e parte del Victorian Disability Advisory Council; Katherine Deves, avvocata, candidata per il partito Liberale alle elezioni federali 2022 e criticata per le sue posizioni transfobiche; Amelia Bright, attivista per i diritti delle persone trans; David Black, regista indipendente di un film di cui non è stata approvata la visione in Australia perché ironizzava sulla sacralità di alcuni siti della comunità Aborigena e sul loro accento; Kid Pharaoh, rapper di origine egiziana che critica (anche) il tokenismo dell’industria musicale.
Se hai 50 minuti di tempo e vuoi capire alcuni punti forti del dibattito australiano attuale sul politicamente corretto, dai un’occhiata alla puntata.
Io ti dico subito il motivo per cui ho deciso di parlarne: sono rimasta molto colpita da come si è sviluppato il dibattito. Le persone intervistate in trasmissione hanno posizioni contrastanti tra loro, eppure la discussione che ne viene fuori è chiara, composta da voci eterogenee ma che non si sovrappongono mai. Ogni voce ha il suo spazio; sono le domande e l’ambiente creato in studio da Kumi Taguchi a orientare con sapienza chi ascolta, fosse anche la prima volta che sente parlare di certi temi.
È forse così, con le parole chiare e le domande giuste, che si aiutano le persone a farsi un’opinione solida e non di pancia su temi spesso trattati in modo polarizzante?
Guarda per esempio come Nala Mansell fa notare al regista David Black quanto il suo film sia impregnato di appropriazione culturale e razzismo. Ti traduco anche parte del suo discorso:
La sua è appropriazione culturale. È tremendo, prima di tutto per l’accento falso che usa. Ma anche perché stiamo vedendo un uomo bianco che ci racconta una storia Aborigena: ma quella è la nostra storia, quelli sono i nostri luoghi sacri, le nostre esperienze di vita. Sono cose che nessun uomo bianco dovrebbe mettersi a spiegare.
Ci avete già rubato così tanto, perché non raccontate le vostre storie? Esistono decine di artisti Aborigeni che scrivono film, romanzi e poesie: lasciateci raccontare le nostre storie, voi occupatevi delle cose che conoscete.
Ammetto, non ho potuto fare a meno di chiedermi come si sarebbe svolto un talk show simile in Italia. “Non si sarebbe proprio svolto!”, mi ha risposto d’impeto una cara amica.
È proprio così? Ha senso chiederselo? Tu cosa ne pensi? Hai buoni esempi da condividere?
Letture e visioni che ti consiglio
La giornalista
ha da poco lanciato – una finestra sull'altra penisola: è una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Spagna e Portogallo. L'ultimo numero contiene l'intervista a Federico Armenteros, fondatore di Fundación 26 de Diciembre, la prima associazione spagnola a occuparsi esclusivamente della tutela di persone LGBTQ+ di età alta. Te la raccomando fortissimo.Microsoft ha di recente ampliato le sue linee guida sul design inclusivo. Se non la conosci ancora, Inclusive 101 è la risorsa di base a cui attingere; l’ultima arrivata è la guida al design per supportare i diversi stili di apprendimento e la diversità cognitiva.
I generatori di immagini alimentati via IA sono zeppi di bias – ormai lo sappiamo, no? Partendo dal presupposto che meno del 20% delle immagini create dalla IA rappresentano donne e persone di identità non binaria, stanno nascendo progetti che puntano a colmare questo disequilibrio di genere. Fixing the BAIS e MissJourney sono i primi due che ho visto.
Chiudo la mia parentesi australiana con una campagna che viene da Down Under, lanciata da Maybelline New York.
Come ci si sente a giocare online quando si è una donna? In Australia l'83% delle gamer che si identificano come donne ha subito molestie e offese mentre gioca. La maggior parte di loro preferisce spegnere il microfono e giocare in silenzio per nascondere la propria identità. Per la campagna Through Their Eyes due famosi gamer australiani hanno provato a fare il loro mestiere usando un profilo e una voce femminile (ottenuta tramite un software di modifica della voce). Il risultato non mi ha sorpresa per niente:
Arrivo molto tardi ma scopro solo ora Daniel Arzola, artista e attivista per i diritti LGBTQ+: qualche anno fa ha reso popolare il termine Artivismo, l’attivismo che passa dall’arte. La campagna che lo ha lanciato risale al 2013, si chiama No soy tu chiste (“Non sono la tua barzelletta”) ed è una meraviglia:
Il 1° marzo Ojalá ha compiuto due anni. 🥳
Concedimi un momento di autocelebrazione per la costanza con cui ho fatto crescere questo progetto: non era scontato.
Grazie a te e a tutte le persone – quasi 3000! – che leggono, condividono e rispondono a Ojalá ogni due lunedì. 💙
Per questa settimana ho finito.
Vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri o di collaborazione? Scrivimi senza problemi, ti basta rispondere a questa email.
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Per affrontare in modo trasversale e completo il tema dei linguaggi inclusivi e accessibili, puoi iniziare leggendo Scrivi e lascia vivere.
A presto,
Alice
#44 Non staremo mica esagerando?
Ho sempre pensato che i talk show italiani sono noiosi e poco intelligenti, da sempre. Chi conduce non gestisce il dibattito, limitandosi al massimo a gestire i tempi, e chi parla tende a urlare la propria posizione, ignorando le critiche, e a soffocare chi sta dall'altra parte. Risultato: si impara poco sul merito e la discussione è piatta. Con quelli a tema COVID e poi guerra poi si è toccato il fondo, rasentando il ridicolo.