#46 The starting point is giving a damn
Cioè, si inizia quando ce ne frega qualcosa. Anche un minimo, ma è pur sempre qualcosa.
Due giorni fa ho letto un ebook di Sheri Byrne-Haber, grandissima esperta di accessibiltà digitale e autrice di centinaia di preziosi articoli e tutorial sul tema: si chiama Giving a damn about accessibility. A candid and practical handbook for designers, ed è un breve ma puntuale compendio di tutto quello che è necessario sapere per iniziare a pensare in modo accessibile, soprattutto se si lavora nella progettazione di esperienze digitali.
Il libro inizia con questa massima:
Non è la tecnologia a rendere complicata l'accessibilità, ma la gente che se ne frega.
Segue una concisa (e anche divertente) presentazione delle categorie di persone che è frequente incontrare quando si cerca di introdurre il tema dell’accessibilità in un progetto o in un contesto aziendale:
Quelle allergiche al cambiamento. Sì, hai indovinato, le persone che si trincerano dietro gli “abbiamo sempre fatto così.”
Quelle che hanno bisogno del business case per capire se ne vale davvero la pena. Perché cercare il beneficio economico senza il quale l’accessibilità è considerata una mera voce di spesa senza ritorno è, semplicemente, un atteggiamento abilista.
Quelle che preferiscono dare priorità alla creazione di nuove funzionalità inaccessibili invece che rendere accessibili quelle già esistenti. Tipo quando Twitter lanciò le note vocali nel 2020 senza alcun supporto per le persone sorde o ipoacusiche.
Quelle che “tanto le persone con disabilità sono solo una piccola nicchia di utenti”. E quindi lavorare sull’accessibilità non avrebbe un effettivo ritorno economico. Eppure tanto piccola non sembra, questa “nicchia”.
Quelle che non credono che le persone con disabilità facciano parte del loro target o base clienti. Una fallacia logica: se produciamo un prodotto inaccessibile, come possono le persone con determinate disabilità entrare a far parte del nostro pubblico di riferimento? Ma anche: da dove deriva l’idea sbagliatissima che le persone con disabilità non siano anche consumatrici?
Quelle che hanno installato un plugin o un widget per rendere più accessibile il loro sito web e pensano di poter chiudere così il discorso. Fabrizio Caccavello spiega con molta chiarezza perché questi strumenti non possono essere la soluzione per rendere un sito web accessibile.
Le categorie di persone che ho incontrato più spesso nel mio lavoro sono la 4 e la 5. Negli anni ho annotato molte delle loro affermazioni e credenze, e in qualche modo le ringrazio per avermi dato così tanto materiale su cui riflettere (e su cui costruire le mie formazioni).
E poi un mea culpa: agli inizi della mia esperienza professionale con WordPress, per esempio, anche io ero convinta che un plugin o un widget sarebbero stati sufficienti. E invece: quante cose avevo ancora da imparare!
L’insegnamento principale che voglio condividere del libro di Sheri Byrne-Haber, però, è questo:
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