
Discover more from Ojalá
#47 Volere più rappresentazione non è un pregiudizio.
Di conferenze tech e della difficoltà di portare donne e altre categorie minorizzate sui palchi degli eventi pubblici.
Mancano poche settimane al WordCamp Europe 2023, l’evento che raduna la comunità internazionale di WordPress per tre giorni di conferenze e lavori di gruppo. Quest’anno sarà in Grecia, ad Atene.
Il WordCamp Europe nasce come evento di networking e formazione per la comunità europea di WordPress, ma in questi anni è cresciuto tanto da attirare persone da tutto il mondo. Anche perché esistono tante aziende dell’ambiente WordPress con un’organizzazione del lavoro da remoto e un team sparso in ogni continente del globo: il WordCamp diventa quindi un’ottima occasione per vedere dal vivo le persone con cui si passano virtualmente le giornate lavorative su Slack.
Tutto molto bello, ma il punto su cui voglio concentrarmi è un altro.
Qualche giorno fa sono stati annunciati i primi gruppi di speaker che saliranno sul palco di Atene. E una delle reazioni — su Twitter, che è dove ancora si confronta il grosso della comunità WordPress — è stata questa:
La fondatrice di Underrepresented In Tech, Michelle Frechette, ha fatto un’osservazione che non è nuova nella comunità WordPress e che ha scatenato un lungo dibattito:
Finora solo il 25% delle persone speaker annunciate per il #WCEU sono donne (almeno in base al nome e alla foto), e solo tre sembrano non essere bianche. Speriamo di vedere una maggiore inclusione nei prossimi annunci.
Un discorso che si trascina da qualche anno. Eppure, nonostante le tante iniziative per la DEI (Diversity, Equity and Inclusion) nate in seno alla comunità WordPress sia a livello locale che internazionale, siamo ancora qui a parlarne: sul palco c’è poca diversità etnica e di genere.
Quando lo si fa notare, un fenomeno molto comune sono le piogge di “ci sono cose più importanti”, “non importa chi sale sul palco, ma la qualità delle cose che dice”, “questi sono solo pregiudizi”:
Leggendo il thread aperto da Frechette su Twitter non mi ha stupido notare come queste risposte piccate arrivino solo da uomini bianchi.
Possiamo ragionare sul fatto che le richieste di migliorare la rappresentazione di genere agli eventi pubblici sembrino far saltare sulla sedia soprattutto le persone che su quei palchi si vedono già abbondantemente rappresentate?
Storicamente, le grosse comunità tech sono nate in nicchie a dominanza maschile (e bianca), e questo è un fatto. Ricordare che questo assetto comporta un problema di esclusione per molte persone è un atto di onestà.
Le persone le cui caratteristiche divergono da quelle dominanti nella comunità hanno dovuto ricavarsi i propri spazi, dimostrare di essere capaci in un modo che al gruppo fondatore non è stato richiesto nella stessa misura.
È una fatica enorme.
Le statistiche sul tema non mancano e lo confermano: vedere un buon equilibrio di genere sui palchi degli eventi tech è complicato e i numeri sono spesso a sfavore di donne e persone non binarie.
Perché? Ok, c’è un grosso problema di sindrome dell’impostura — questa è diventata un po’ la risposta spiega-tutto — ma ehi, mica possiamo liquidarla così.
Qualche giorno fa Elena Panciera, collega brillante che si occupa di comunicazione inclusiva, ha raccolto molte risposte alla domanda “Perché poche donne accettano di essere speaker agli eventi?”.
Le risposte sono arrivate soprattutto da altre donne (la sensazione di parlare di queste cose solo fra noi è sempre molto forte). Va per la maggiore il tema dell’educazione ricevuta, quella che ci porta a sgomitare meno, a stare al nostro posto, a non alzare troppo la voce; ma risuona forte anche la campana della difficoltà di conciliazione tra lavoro e carichi familiari.
“Perché queste cose le prepari quando finisci di lavorare, e le donne non finiscono di lavorare”, spiega con ottima sintesi Eleonora Marocchini.
Preparare un intervento pubblico è un lavoro a sé, ne avevo parlato approfonditamente — esplicitando pure i miei calcoli in termini di tempo ed energie — nel numero 35 di Ojalá. È un impegno inarrivabile per persone che già faticano a conciliare le otto ore (quando va bene) di lavoro pagato (quando va bene) con quello non pagato: la gestione di una famiglia, di una casa, di persone care e di tutte quelle attività considerate ancora, secondo le statistiche, come un’incombenza che spetta principalmente dalle donne.
Uno svantaggio di questo tipo si ripercuote poi anche sulle altre categorie di persone minorizzate che — per discriminazioni razziali, abiliste o classiste — fronteggiano nella loro quotidianità già abbastanza spese e incombenze per potersi permettere di investire tempo e risorse in attività di networking o di personal branding non retribuite.
Ma quindi, come si migliora la diversità di un gruppo di persone che parla a un evento?
Riporto questa domanda che inizia a emerge con più frequenza tra chi organizza eventi, ma non ho una risposta universale. Non ho mai fatto parte dell’organizzazione di un evento internazionale (l’anno scorso al WordCamp Porto c’erano più di 2300 persone). Sono consapevole dell’enorme quantità di difficoltà, decisioni e discussioni che si celano dietro un evento di queste dimensioni.
Quello che posso dire, però, è che — da professionista della comunicazione a cui piace parlare in pubblico e che lo fa dal 2016 — ci sono molte cose che ho imparato a tenere in considerazione prima di candidarmi (o accettare una proposta) come relatrice.
Cosa mi chiedo quando devo decidere se parlare o meno a un evento:
Chi lo organizza?
Cerco sul sito web dell’evento una pagina che mi parli delle persone o aziende che organizzano l’evento. Preferisco che i nomi siano in chiaro, così posso fare le mie ricerche nel caso non li conosca bene e capire se mi ispirano fiducia.Se ci sono già state altre edizioni, chi ha parlato in passato?
Voglio capire che tipo di persone vengono invitate di solito. Sono tutti uomini? Uhm. Sono tutte persone bianche con scintillanti profili LinkedIn e job description in aziende blasonate? Mh. C’è almeno l’intenzione di cambiare questa composizione e chiamare anche altri tipi di persone? Se non lo so, lo chiedo.Esiste un Codice di Condotta (per gli amici CoC)?
La comunità WordPress ha un template che viene usato per ogni evento e tutte le persone che partecipano ai WordCamp come pubblico, relatrici o organizzatrici, devono confermare di averlo letto al momento della registrazione.
Un Codice di Condotta è scritto bene quando dà dettagli sugli atteggiamenti non accettati e sulle conseguenze che seguiranno in caso di incidente: tre begli esempi sono il CoC della JSConf 2019, quello di Write Speak Code o di PyCon Italia.Esiste un impegno esplicito sui temi dell’accessibilità e dell’inclusione?
E in particolare:
Se l’evento è in presenza, la location è accessibile per chi ha disabilità motorie?
Ci sono spazi e servizi pensati per rendere l’evento accessibile e inclusivo anche ad altri tipi di disabilità e identità?
Esempi: un servizio di sottotitolazione live per ogni intervento; una stanza silenziosa per chi ha bisogno di scaricare i sovrastimoli sensoriali o di qualche momento di calma, magari prima di salire sul palco; un servizio di babysitting per chi viaggia con infanti; bagni inclusivi per tutte le identità di genere; un catering diversificato per diverse esigenze alimentari (vegetariano, vegano, kosher, halal, senza glutine,…); ecc.L’evento viene comunicato in modo inclusivo?
Esempi: uso di un linguaggio inclusivo con prospettiva di genere sul sito web; campi per indicare i propri pronomi nel modulo di registrazione; policy precisa e documentata sull’impegno in termini di diversità e inclusione; ecc.
È previsto un budget per chi parla?
Preparare un intervento pubblico, sia anche di mezz’ora, ha un costo. Va da sé che più l’intervento richiesto è lungo, più è costoso.
Per persone come me, freelance e che gestiscono da sole la propria attività, parlare in pubblico è prima di tutto una voce di spesa:il mio tempo lavorativo ha un preciso valore economico, un costo orario che ho sempre in mente: lo calcolo quando penso al tempo di cui avrò bisogno per preparare le slide, ma anche alle ore di viaggio che mi saranno necessarie per raggiungere l’evento;
stare via per lavoro ha un costo: al momento la mia famiglia è composta da due esseri umani e un cane. Io sono quella che lavora da casa, quindi per comodità gestisco diversi aspetti della nostra routine familiare. Quando vado via per lavoro, devo per esempio tenere in conto il costo orario della nostra dog-sitter, perché Uras ancora non sa aprire le porte e scendere tre piani di scale per fare i suoi bisogni. 🐶
Questo significa che non parlo mai a eventi che non prevedono budget per chi parla?
Non proprio. I WordCamp, per esempio, non prevedono un compenso speaker; però ci sono aziende, come Yoast, che offrono rimborsi per facilitare la partecipazione di persone minorizzate che non avrebbero sufficienti risorse per coprire i costi del viaggio e della preparazione dell’intervento.Mi stanno solo proponendo “visibilità”?
Appena in una richiesta di intervento compare la malefica parolina visibilità, il mio sospettometro si attiva. Per principio, ho smesso di accettare proposte che fanno leva sulla sola visibilità, un concetto etereo, soggettivo, privilegiato, prezzemolo del nostro tempo.
Un video, un pensiero, un master e uno sconto
A proposito di categorie di persone marginalizzate e delle difficoltà di farsi spazio nel tech, ti consiglio il webinar Whiteness in UX, organizzato da Vivianne Castillo e Alba Villamil di HmntyCntrd.
Per definizione le discipline del mondo della user experience (UX) sono human-centered, cioè fondate sull’esperienza umana e sul valore delle persone: ma pensiamo mai al sottobosco di razzismo e di privilegio bianco che prolifera in questo settore?
Su Una cosa molto personale, il penultimo numero della sua newsletter (che ti invito a leggere per intero), Giulia Blasi scrive:
Posizionamento. E io rifiuto l’idea del posizionamento forzato e la necessità di esprimersi su ogni cosa solo per timbrare il cartellino. Rifiuto l’idea che quello che non scrivo sui social non esista, che i miei pensieri debbano essere costante oggetto di ostensione. […] Ho un problema gigante con i social, ormai si è capito, non ci voglio quasi più stare (con l’eccezione di Twitter, che però ormai è il giardino privato della villa di Elon Musk, e noi i nani di gesso), ma soprattutto ho un problema con l’idea della performance costante, del non saper espellere l’impulso dimostrativo dalla nostra vita emotiva, relazionale e intellettuale, o quantomeno mettere un limite alla necessità di mostrare al mondo tutto quello che facciamo, corredato di hashtag. Sono sempre coerente? Ma no.
Messaggio per chi lavora nel mondo della traduzione e della comunicazione: sono aperte le iscrizioni al Master specialistico in traduzione e comunicazione per l’industria del lusso, ideato e organizzato da Floriana Grieco. ✨
È un percorso composto da cinque moduli e moltissima pratica sulla comunicazione nell’industria del lusso. In questa edizione, nel team docente, formato da colleghe espertissime di traduzione e scrittura, ci sono anche io con un modulo sulla comunicazione con prospettiva di genere.
Fino al 17 luglio l’iscrizione al Master è scontata del 10%.
E se sei sociə AITI puoi sommare un 5% di sconto in più. 😍
Scrivi e lascia vivere, il manuale di scrittura inclusiva e accessibile che ho scritto con Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi, sta andando molto bene ed è appena andato in ristampa!
Per l’occasione, Enrico e Claudia di Flaco Edizioni hanno pensato a un codice sconto per chi legge Ojalá. 💙Segnatelo: è ALI25 e vale un 25% di sconto.
Puoi usarlo sul sito flacoedizioni.com per comprare questi titoli:UX Microcopy, di Kinneret Yifrah, tradotto da Roberta Basso.
User Experience Research, di Francesca Bonazza e Matteo Tibolla.
UX Strategy, di Jaime Levy, tradotto da Elisabetta Severoni.
E Scrivi e lascia vivere, ovviamente!
Inserisci lo sconto al momento del pagamento e ¡listo!:
Il codice sconto è valido fino alle 23:59 del 31 maggio.
La canzone che sto ascoltando di più in questo periodo è Mancarsi dei Coma_Cose. Ti lascio i versi che mi ripeto più spesso in questo periodo in cui nella mia vita stanno cambiando alcune cose (e anche per questo arrivo in ritardo con la newsletter!), ma certi punti fermi, per fortuna, rimangono tali anche quando tremano:
Ci hanno dato il piombo, ci hanno dato il fango
Ci hanno chiesto: "Quando diventate grandi?"
E nonostante tutto
Abbiamo ancora gli occhi rossi
Come quelli dei conigli bianchi
Ci hanno detto: "Niente dura per sempre
Tranne la musica, quella rimane"
Ma per fortuna io ho incontrato te
Che mi ricordi casa come le campane
Per questa settimana ho finito. Grazie per aver letto fino a qui. 💜
Vuoi scrivermi cosa ne pensi di Ojalá, propormi una collaborazione o semplicemente mandarmi un saluto? Fallo: rispondi a questa email o scrivimi su ojala [at] aliceorru.me 📧
Se ormai conosci Ojalá e apprezzi il mio lavoro, dai un’occhiata al piano a pagamento: con meno di 4 euro al mese puoi supportare questo progetto.
Se tutto va bene ci sentiamo tra due settimane,
Alice