#48 Ti cedo il mio voto
Passaporti e parole che fanno la differenza, anche (e soprattutto) in periodo elettorale.
Ho iniziato a scrivere questa newsletter di domenica mattina, appena tornata dal seggio elettorale del paesello catalano in cui vivo. Ieri, 28 maggio, in tutta la Spagna rimbalzava l’hashtag #28M, simbolo di un’importante giornata di elezioni: si rinnovavano i consigli comunali di 8.100 comuni e 12 parlamenti autonomici (regionali, diremmo in Italia).
Io, da cittadina italiana con residenza spagnola, ho diritto di voto solo per le elezioni comunali. Quindi, la settimana scorsa, anche nella mia cassetta delle lettere sono arrivate le buste con i volantini dei partiti in corsa:
A differenza dell’Italia, però, non ci sono solo i volantini di propaganda, la foto della persona candidata o il riassunto del programma di partito; dentro le buste c’è anche la scheda elettorale.
Funziona così: c’è una busta grande, con la lista di tutte le persone candidate, e poi una bustina bianca, anonima. Puoi prendere il foglietto con la lista, infilarlo dentro la bustina bianca e poi andare al seggio con il tuo voto pronto da imbucare.
Se invece non hai preparato la bustina a casa, puoi andare direttamente al seggio elettorale. All’ingresso di ogni seggio troverai un grande tavolo con le pile di fotocopie che fungono da scheda elettorale, divise per partito: avvicinati e scegli senza fretta il foglietto che vuoi inserire nell’urna elettorale.
La strategia di voto varia da persona a persona.
C’è chi non ha dubbi, prende il foglietto con la sua lista preferita e lo imbusta di fronte a tutti. C’è chi preferisce prenderne uno di ogni partito e imbustarlo al riparo di una tenda grigia, per votare in segreto. C’è anche chi al seggio non si presenta proprio perché ha votato per posta qualche giorno prima.
Io mi sono presentata al seggio con il voto imbustato da casa, la mia carta di identità italiana e la tarjeta censal, la cartolina che attesta la mia iscrizione alle liste elettorali:
Ho votato nella sala della biblioteca comunale in meno di cinque minuti: le due ragazze al seggio hanno evidenziato il mio nome nel loro registro — un semplice foglio A4 con la lista dei nomi assegnati a quel tavolo —, io ho infilato la mia busta nell’urna e sono uscita.
Il passaporto che fa la differenza
Fuori, ad aspettarmi, c’era il mio compagno: lui, che risiede in Spagna da un decennio come me e non ha un passaporto bordeaux ma verde, non può votare nemmeno alle comunali.
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