#50 Siamo intense? Sì. E cosa c'è di male?
Di conversazioni scomode, fatica emotiva e terreni di esperienza pratica condivisa.
Per diverse vicissitudini personali, in questo periodo mi sto ritrovando a intavolare conversazioni complicate con persone care.
Sono quelle conversazioni che quando ci penso la gola si ingrossa, il petto si appesantisce e vorrei trasformarmi in struzza, così:
Sono quelle conversazioni che dentro hanno — a scelta — dolore, paura della morte, trasformazioni dagli esiti incerti, epifanie che fanno rileggere il passato in modi nuovi, accettazione di cose che non potranno cambiare mai.
(Che primo semestre intenso, 2023. Grazie, eh.)
E in questo contesto io, che credevo di essere una buona comunicatrice non solo a livello professionale ma anche privato, faccio una fatica enorme e spesso pure cilecca.
Promuovere i benefici di una comunicazione chiara, rispettosa, accessibile è il mio lavoro. Ho letto innumerevoli saggi, fatto corsi, scritto pagine e pagine per esercitarmi con la scrittura efficace. Ho scritto un manuale sulla scrittura inclusiva. Ho formato non so più quante persone sulla scrittura accessibile. Credo, e me lo hanno confermato spesso, di fare bene il mio lavoro.
Scrivere testi rivolti a un pubblico eterogeneo per descrivere le qualità di un prodotto o di un servizio è, tutto sommato, una cosa che con la pratica si può perfezionare.
Si possono studiare la teoria delle emozioni, gli archetipi letterari, le norme redazionali, i principi di scrittura accessibile o quelli per scegliere le parole giuste a seconda del pubblico di riferimento.
Si può imparare a scrivere bene, scegliere le parole con calma, sfogliare il dizionario delle collocazioni, quello dei sinonimi e contrari, pensare a parafrasi più convincenti.
E poi capita che, di fronte alla vita che cambia e spariglia le carte, tutte le nozioni conosciute di comunicazione efficace traballano in uno sforzo strenuo di rimanere in piedi fino alla fine del discorso.
Comunicare bene le proprie emozioni è duro
Mi stupisco, come se me ne rendessi conto solo ora per la prima volta: la comunicazione trasparente costa fatica. Comunicare le emozioni, vocalizzarle, e dare loro forma intellegibile e produttiva costa fatica.
Dove si incagliano le parole quando i discorsi si fanno difficili?
Quanti respiri ci vogliono prima di dire le cose come stanno?
Come si scelgono le parole affinché raccontino le emozioni in modo preciso, vero, onesto, ma non suonino spigolose o spietate?
Chi ci insegna a fare questo sforzo comunicativo con le persone che amiamo?
Amare meglio
Scrive bell hooks in Tutto sull’amore. Nuove visioni (Il Saggiatore, nuova edizione del 2022 tradotta e curata da Maria Nadotti):
Immaginate quanto sarebbe più semplice imparare ad amare se partissimo da una definizione condivisa.
Il lemma love, che nella lingua inglese è sia un nome sia un verbo, è generalmente considerato un sostantivo, eppure tutti i teorici che con maggior perspicacia si sono occupati della materia riconoscono che tutti noi ameremmo meglio se lo usassimo come verbo: non «amore» bensì «amare».
Ho cercato per anni una definizione sensata della parola «amore» e ho provato un profondo sollievo quando ne ho trovata una in Voglia di bene, l’ormai classico manuale di auto-aiuto dello psichiatra M. Scott Peck, la cui prima edizione statunitense è del 1978.
[…] L’autore definisce l’amore come «volontà di estendere il proprio sé al fine di favorire la crescita spirituale propria o di un’altra persona». E prosegue: «L’amore sta nei gesti e nei comportamenti attraverso cui si esprime. L’amore è un atto di volontà; più precisamente, è al contempo un’intenzione e un’azione. La volontà implica anche una scelta. Non siamo costretti ad amare. Scegliamo di farlo.» (pag. 28)[…] Cominciare a considerare sempre l’amore come un’azione piuttosto che come un sentimento è un modo, per chiunque utilizzi la parola in questa forma, di assumersene automaticamente la responsabilità.
[…] Se ricordassimo sempre che l’amore è ciò che l’amore fa, non useremmo il termine in modo da svilirne e degradarne il significato. Quando amiamo, esprimiamo apertamente e onestamente cura, affetto, responsabilità, rispetto, impegno e fiducia.
(pag. 36)
Poco tempo fa sono stata molestata verbalmente durante un impegno di lavoro.
Non è stata certo la prima volta e mi sento di dire che, con tutta probabilità e con il carico di sfiducia empirica che ormai mi porto dietro, non sarà nemmeno l’ultima.
Quando è successo, ne ho subito parlato con alcune delle persone che sanno darmi il tipo di amore di cui parla hooks. Ho cercato supporto, comprensione, spazio per condividere la rabbia. Ho usato le parole che mi venivano più spontanee, perché in quel momento l’energia se la stavano prendendo la mia vulnerabilità e il mio animo infuriato.
Poi ho denunciato, perché ero nelle condizioni di farlo. Ho denunciato con parole precise, trasparenti, descrittive. Mi è costato scriverle, ma ero anche consapevole di poterlo fare in un contesto fortunato, di avere risorse sufficienti — emotive e relazionali — per gestire una comunicazione del genere.
Non tutte le persone vittime di molestie e di violenza machista hanno la stessa fortuna, e questa cosa non dovremmo dimenticarla mai.
Scrive Maria Nadotti, che ha (ri)tradotto e curato la già citata nuova edizione italiana di Tutto sull’amore di bell hooks:
In un piccolo volume autobiografico intitolato Bone Black: Memories of Girlhood, tuttora inedito in Italia, bell ci ricorda che ci sono tanti modi di appartenere e che il principale è la tensione a ricordare, sapendosi «visti», dunque non più soli.
È da lì, infatti, dal terreno dell'esperienza pratica condivisa che nasce il solo sapere essenziale, vale a dire qualsiasi teoria dotata di qualche utilità.
Il terreno dell’esperienza pratica condivisa, la tensione a ricordare insieme e sapersi viste, ascoltate, presenti l’una per l’altra.
In un contesto in cui, ancora troppo spesso, veniamo considerate esagerate, isteriche, troppo intense, poter contare su persone che condividono il nostro stesso terreno e le stesse geografie emotive è un salvagente importantissimo.
Essere intense e rivendicarlo
A proposito di sapersi intense e voler scrollarsi di dosso il senso di colpa instillato dalla società per questo sentire forte: la caporedattrice sulle tematiche di genere per il quotidiano spagnolo El Diario, Ana Requena Aguilar, ha scritto un saggio intitolato Intensas (Roca Editorial, 2023) e qui puoi leggere il primo capitolo.
È in spagnolo ma te ne traduco un passaggio per me significativo:
Quasi tutto sembra troppo quando è una donna a chiederlo. Quasi tutto sembra troppo quando è una donna a sentirlo. Quasi ogni frase suona stridente quando è una donna a pronunciarla.
Sono intensa in una città intensa.
È proprio l'intensità a far prevalere il desiderio sulle mie paure.
Ad aiutarmi a uscire dallo stampino e a raccogliere le briciole che rimangono dentro.
A mediare con il senso di colpa e negoziare con la rabbia.
A diventare una rete quando mi sento in caduta libera e mi chiedo se ne vale la pena.
A incoraggiarmi a porre dei limiti.
A denunciare le ingiustizie e alimentare le mie lotte.
A farmi dire quello che sento.
Ad aiutarmi a vivere nel modo in cui voglio vivere.
A guidarmi quando è buio, a rinfrescarmi quando sono a secco.
Sono una persona intensa in una città intensa o forse porto la città intensa qui, dentro di me. Ora dispiego la mappa che era rimasta accartocciata. Le impronte delle altre persone mi fanno capire che non sono la prima né la sola.
Al contrario, siamo una folla rumorosa a cui cercano costantemente di abbassare il volume.
Tra le folle rumorose che animano questi tempi:
Re:B collective, il collettivo che — come spiega su LinkedIn Linda Codognesi, una delle promotrici — «lotta contro tutti i comportamenti tossici, molesti, violenti e maschilisti nel nostro settore, quello della comunicazione.»
MOLESTE, il collettivo italiano per la parità di genere nel settore del fumetto.
Fondazione Libellula, che lavora per prevenire e contrastare ogni forma di violenza sulle donne e di discriminazione di genere, spiega cosa fare se scopri che nella tua azienda si stanno verificando casi di molestie.
Procedo con Il filo visibile, di Giulia Blasi:
Non serve rivendicare la violenza. Basta dire che “gli altri” possono agirla, e che spetta a noi evitare di attirarla, limitandoci. Quanto? A cosa dobbiamo rinunciare, per essere sicure? Non si sa, e non è nemmeno importante: anche se noi ci limitiamo, la minaccia esiste comunque e anche l’assetto autogiustificante e deresponsabilizzante già pronto e a disposizione del maschio della specie.
Un uomo può spaccarsi di cocktail e bamba e avere la ragionevole certezza che nessuna donna abuserà di lui (sugli altri uomini non può giurare, ovviamente, ma nessuno osa dirlo). Una donna no. Una donna che si diverte, si intossica e fa festa deve mettere in conto che questo verrà usato contro di lei, in caso “le succedesse qualcosa”.
E chiudo con una nota spagnola.
Vota con orgullo (“Vota con orgoglio”) è la campagna del collettivo LGBTQIA+ promossa da FELGTBI+ — Federación Estatal de Lesbianas, Gais, Trans, Bisexuales, Intersexuales y más — in vista delle elezioni nazionali del 23 luglio. È una mobilitazione per ricordare che tra le formazioni politiche candidate ce ne sono alcune, come Vox e il PP, che si vantano di avere come obiettivo l'abrogazione della ley estatal LGTBI+ recentemente approvata, cioè il progetto di legge per l'uguaglianza reale ed effettiva delle persone trans e per la garanzia dei diritti delle persone lesbiche, gay, trans, bisessuali e intersessuali.
Per oggi ho finito. Ojalá potrebbe prendersi una pausa nelle prossime settimane, ma prendo le cose come vengono e non do date definitive.
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Ok, è davvero tutto.
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Cuidate mucho,
Alice
Ho i brividi, stavolta, Alice. Sei riuscita a dire tutto, e meglio. Grazie.