💃 Voglio vederti ballare
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Ciao!
Sono Alice Orrù e questa è Ojalá, la newsletter che parla di scrittura e rappresentazione inclusive, begli esempi di accessibilità sul web e storie variopinte.
Io sono una copywriter e traduttrice tecnica con il pallino per il linguaggio inclusivo. Vivo a Barcellona dal 2012 e per questo la mia newsletter contiene giocoforza anche qualche incursione di vita catalana e tanta, tanta salsa brava.
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Il Pride più emozionante a cui sia mai stata è quello del 29 giugno 2013 a Barcellona.
I tre km di Avinguda del Paral·lel che uniscono Plaça Drassanes con le torri di Plaça Espanya erano una fiumana di persone, musica, arcobaleni e batucadas. 🥁
Non mi ero mai sentita così viva e libera in vita mia.
Vivevo a Barcellona da sette mesi, il mio matrimonio era terminato da otto e la mia eteronormatività* introiettata era felicemente in crisi.
(* eteronormatività è il termine del glossario di oggi, più avanti trovi l'approfondimento)
Ricordo che, in quel periodo, vivevo ancora con stupore il mio essere lì, lontana dall'Italia, da quella gabbia d'oro sentimentale e professionale a cui stavo ancora cercando di dare un nome. Lontana dai giudizi, dalle aspettative che mi schiacciavano, dai "non lamentarti e stringi i denti, perché così fan tutte".
Incredula per la mia scelta, mi aggiravo leggiadra per la città, inebriata dalla sensazione di essermi lasciata tanta infelicità alle spalle.
Mi stavo ricostruendo una vita, e per la prima volta sentivo di poterlo fare alle mie condizioni.
La Alice che esisteva fino a pochi mesi prima si stava riplasmando per lasciare spazio alla sua vera identità, rimasta sedata per tanto tempo sotto la pelle delicata di una quasi trentenne irrequieta e piena di vorrei ma non posso.
Con quell'adrenalina in corpo, ogni giorno bevevo Barcellona come fosse il più fresco sorso di vermouth dell'aperitivo domenicale.
Ubriaca di novità e metamorfosi, per la prima volta partecipavo a un Pride sentendomi profondamente accolta, parte di una variegata folla di persone che sfilavano per il diritto a essere nient'altro che sé stesse.
L'ultima tappa del Pride a Barcellona: le Fontane Magiche e l'attesa dello spettacolo finale.
Love is love e altri miti del Pride:
La narrazione stereotipata che ancora aleggia intorno al mese del Pride e alla comunità LGBTQIA+ ha prodotto una serie di miti e visioni parziali che non rendono onore alla grandiosità del movimento.
Vuoi il marketing, vuoi la comodità di vedere solo la parte più sbrilluccicante dell'orgoglio queer, è da anni che ci ripetiamo slogan e leggende a cui abbiamo finito per credere.
Il motto "Love is love", per esempio, è un leit motiv piuttosto riduttivo per rappresentare l'importanza del mese dedicato alle lotte per i diritti della comunità LGBTQIA+.
Non è solo una questione di amore nel senso romantico del termine.
Anche perché, non dimentichiamolo, della comunità LGBTQIA+ fanno parte anche tutte le persone che si identificano nello spettro dell'asessualità e dell'aromanticità.
L'orgoglio che il mese del Pride commemora ha a che fare con la parte più profonda di noi, con la libertà di poter essere chi siamo, a prescindere dalla nostra identità ed espressione di genere e dal nostro orientamento sessuale.
Un orgoglio che troppe persone della comunità LGBTQIA+ ancora non possono mostrare in molte parti del mondo (sì, anche in Italia e per motivi piuttosto ovvi.)
Vale sempre la pena ricordare che, per esempio, l'OMS ha eliminato l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali solo nel 1990.
E che, nonostante questo, le terapie di conversione che vogliono intervenire — medicalmente, psicologicamente o spiritualmente — su orientamento sessuale e identità di genere "per riportarle alla normalità" sono ancora una realtà diffusa e accettata in molti Paesi.
Il report "Curbing Deception" dell'ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) è un'ampia ricerca internazionale sulle leggi dei Paesi che, nel 2020, proibiscono esplicitamente le "terapie di conversione", sia a livello nazionale che regionale.
Come evidenziato dall'immagine sopra, solo quattro Paesi delle Nazioni Unite hanno emanato una legge nazionale che proibisce queste tecniche abusive.
Negli Stati Uniti, in Canada e in Spagna, invece, la legge contro le terapie di conversione non è nazionale ma regionale.
In Spagna, per esempio, è esplicitamente vietata e punita solo nella Comunidad di Madrid, in Andalusia, Aragón e nella Comunidad Valenciana.
Altri cinque Paesi la vietano "indirettamente" mentre più di 10 Stati — tra cui Messico, Francia, UK e Irlanda — stanno legiferando il divieto proprio in questi mesi.
L'Italia, come noterai, non compare proprio.
Qui puoi trovare un riassunto del report, con tutti i dati e le sfumature delle leggi contro le terapie di conversione, Paese per Paese.
Un'intervista a Marsha P. Johnson, attivista e drag queen, protagonista dei moti di Stonewall
Tra le questioni del Pride intorno a cui aleggiano ancora miti e leggende, c'è anche l'annosa questione: chi diede materialmente inizio ai moti di Stonewall del 1969 a New York, ponendo una pietra miliare nella storia del movimento LGBTQIA+?
C'è chi dice Sylvia Rivera, chi invece sostiene Marsha P. Johnson... le versioni della storia sono molteplici, e spicca anche quella secondo cui "non tutto iniziò allo Stonewall Inn".
Questo bel video del New York Times, prodotto da Shane O'Neill, risponde alla domanda con interviste a chi, quel 28 giugno 1969, era presente:
(Ho scoperto il video grazie a questo interessante articolo de Lo Spiegone dedicato ai Moti di Stonewall).
Mini glossario della comunicazione inclusiva:
Eteronormatività
"Quando ti sposi?"
"Quando ti decidi a diventare madre?"
"Divorziare? Ma se siete la coppia perfetta!"
"Divorziare? Hai forse scoperto di essere lesbica?"
"Sembrano proprio una famiglia del Mulino Bianco, che belli."
"Una donna che parla di sesso? Che vergogna, farebbe meglio a tenere la sua sessualità per sé."
"È una tipa allegra, le piace fare esperienza..."
"Fa una vita da suora, non ha mai avuto una storia."
"Cosa ci vai a fare al Pride se non sei lesbica?"
"Non capisco perché ci sia bisogno di fare tanto casino e sfilare per ostentare il proprio orientamento sessuale".
...
Quando penso alla parola eteronormatività, queste sono solo alcune delle frasi che mi vengono in mente.
E non perché me le sia inventate, ma perché sono state rivolte a me o a persone vicine a me. Ho solo dovuto scavare un po' nella memoria del mio vissuto personale, però credo si capisca dove voglio andare a parare, no?
Nel dubbio, continuo con una definizione da dizionario, secondo cui l'eteronormatività è: "l'atteggiamento o la convinzione secondo cui l'eterosessualità sia l'unica espressione normale e naturale della sessualità".
Una definizione un tantino striminzita per descrivere il contesto in cui viviamo, impregnato di eteronormatività a vari livelli.
Meg-John Barker lo spiega in modo molto più esauriente in questo bell'articolo da cui traduco un estratto:
«La gente di solito non ha problemi con una persona che indossa una fede al lavoro, che ha una foto del suo partner eterosessuale sulla scrivania, o che parla di quello che ha fatto con il suo partner eterosessuale durante il weekend.
Il fatto che potrebbe non andare bene indossare abiti o avere conversazioni che implicano che una persona sia lesbica, gay o bisessuale, o che pratichi BDSM, è eteronormativo perché lo stesso tipo di cose che sono contestate - o considerate strane - per loro sono completamente accettate per le persone eterosessuali.
[...]
Generalmente si presume, fino a prova contraria, che le persone siano eterosessuali (e interessate a pratiche sessuali eterosessual).
Questo è un altro esempio di eteronormatività.
Le persone che non sono eterosessuali (o che sono non monogame, o praticano una sessualità kinky o al di fuori dell'eteronorma) devono decidere se fare coming out o no, mentre le persone eteronormate sanno sempre che la gente farà le giuste supposizioni sulla loro sessualità, sulle loro relazioni, sul loro genere, ecc.»
Il significato di eteronormatività assume così un significato più ampio, che non ha solo a che fare con l'orientamento sessuale, ma che mette nel calderone tutto un sistema di valori, pratiche, convenzioni che — per abitudine, pigrizia, ignoranza — si considera "normale".
L'articolo di Meg-John Barker che ho linkato sopra fa degli esempi molto pratici; in più è ricco di riferimenti e risorse sia da leggere che da guardare. Io ci ho passato un pomeriggio intero.
Tra le risorse che ho scoperto c'è il "questionario sull'eterosessualità", attribuito a Martin Rochlin e risalente al 1977: si tratta di una ventina di domande formulate con un chiaro pregiudizio "eterofobico" (sì, hai letto bene). Il questionario rivisita le domande che vengono spesso fatte a persone gay, lesbiche o bisessuali.
Se sei eterosessuale, prova a rispondere e analizza il modo in cui le domande ti fanno sentire.
Perché quindi l'eteronormatività è un problema?
Sempre per citare Barker, è ovvio che la criticità più grande è il fatto di creare un "noi vs loro", polarizzazione che alimenta omolesbofobia, bifobia e transfobia.
Ma finisce per essere un problema anche per chi si considera parte della "maggioranza eteronormata": il pensiero eteronormato può diventare una gabbia di infelicità ogni volta che i nostri desideri e le nostre aspirazioni vengono percepite come "fuori dalla norma".
Che si tratti di relazioni sentimentali o sessuali, di apparenza o espressione fisica, di atteggiamenti, pensieri, modi di vivere la nostra personalità... nulla sfugge al giudizio dell'eteronormatività.
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♪ Bonus musicale per questo episodio del glossario: Heteronormative Horseshit Blues di Shilpa Ray. ♪
Altre belle letture e visioni per approfondire il Pride:
The death and life of Marsha P. Johnson, documentario Netflix su Marsha P. Johnson, l'attivista statunitense il cui nome sarà per sempre legato ai moti di Stonewall.
The first black trans model had her face on a box of Clairol, la storia di Tracey Norman, prima modella afroamericana e transgender che negli anni '70 diventò la testimonial di una famosa marca di shampoo.
Pride Month e rainbow-washing aziendale: il supporto alla comunità LBGT* di comodo, di Ros Palombino: una riflessione sui "filtri arcobaleno" che colorano i brand nel mese di giugno e sul marketing che non aiuta la comunità LGBTQ+.
Uno spot a tema Pride che mi è piaciuto: quello di Idealista, la piattaforma di origine spagnola dedicata agli annunci immobiliari.
"It's a sin", la mini-serie britannica creata da Russell T Davies che mi ha rubato il cuore in questo mese di giugno. A cavallo tra gli '80 e i '90, un gruppo di amicз gay ed etero condividono un appartamento a Londra, alcuni di loro per allontanarsi da famiglie omofobe. Lì vivono i loro vent'anni, studiano, cercano fortuna, si innamorano e osservano con leggerezza, prima, e crescente preoccupazione poi, il dilagare della pandemia di HIV. Non è solo dramma, ma anche pura gioia e divertimento, come spiega bene Manuela Stacca in un post dedicato alla serie.
Per questo lunedì ho finito. Se tutto va bene ci risentiamo tra due settimane.
Intanto, rispondi pure a questa email se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri (magari una parola per il mini glossario di comunicazione inclusiva?), o un saluto.
Ciao!
Alice