Ci temono perché noi non li temiamo 🌼
#16
Ciao!
Sono Alice Orrù e questa è Ojalá, la newsletter che parla di scrittura e rappresentazione inclusive, begli esempi di accessibilità sul web e storie variopinte.
Io sono una copywriter e traduttrice tecnica con il pallino per il linguaggio inclusivo. Vivo a Barcellona dal 2012 e per questo la mia newsletter contiene giocoforza anche qualche incursione di vita catalana e tanta, tanta salsa brava.
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A fine ottobre ho concluso la prima parte di un ciclo di formazione sulla comunicazione inclusiva tenuto sulla piattaforma MODII da un gruppo di professioniste latinoamericane.
Quando studio la comunicazione inclusiva in un'altra lingua mi si ossigena la mente. Torno in uno dei miei ambienti preferiti, quello della condivisione interculturale; parlare di inclusione con persone che vivono dall'altra parte dell'oceano è come illuminare con una torcia quell'angolo buio a cui non ero ancora riuscita ad arrivare.
E poi, lontana da certe sterili polemiche nostrane (), mi accorgo di quanti temi possono essere reintepretati sotto la lente della comunicazione inclusiva e accessibile.
Una delle lezioni che mi ha stupita di più è quella dedicata a come parlare di ambiente e cambiamento climatico.
Perché è importante la comunicazione inclusiva per parlare dell'ambiente?
Ci hanno chiesto le due docenti, Soledad Bellido e Mónica Ropaín, all'inizio della lezione.
Cosa avresti risposto tu?
Prova a dirmelo prima di andare avanti con la lettura, dai!
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Ho creato un brevissimo sondaggio tramite cui puoi mandarmi la tua risposta. Non esiste una risposta giusta, anzi: più sfaccettati i punti di vista, più divertente sarà sviscerare il tema.
Sbizzarrisciti!
Nella prossima newsletter condividerò i risultati e le risposte arrivate, mantenendo naturalmente il tuo anonimato.
Drawing, Tropical Harvest, di Suzie Zuzek
Hai risposto? Bene, grazie mille! 🌼
Ora ti riporto il sommario delle risposte arrivate durante la lezione a cui ho partecipato.
Applicare la comunicazione inclusiva quando si parla di ambiente è importante per:
Ottenere giustizia climatica ed ecologica.
Rappresentare la reale entità dei problemi ambientali più urgenti da risolvere.
Contribuire positivamente alla trasformazione sociale.
Considerare la natura come un soggetto da trattare con rispetto.
Comunicare con rispetto verso la natura significa mettere in luce il ruolo che noi esseri umani abbiamo nella transizione verso una società più sana e rispettosa della biodiversità.
Allo stesso tempo, scegliere le parole giuste ci aiuta a trovare un equilibrio tra il mostrare l'urgenza delle questioni ambientali da risolvere e il non dare tutto per perduto.
Anche la narrazione del cambiamento climatico e dell'emergenza ambientale può contribuire a cambiare il mondo.
Ma possiamo affermare con certezza che cercare il coinvolgimento sull'onda del pessimismo estremo sia la strategia giusta?
Un'opera dell'illustratore kenyano Musa Omusi.
Buone pratiche di comunicazione inclusiva per parlare di ambiente e clima
Ti riporto qualcuno degli esempi di buone pratiche di comunicazione che abbiamo discusso durante la lezione.
Staccarsi da una narrazione esclusivamente antropocentrica.
Enfatizziamo la natura, non solo le persone.
Spesso, l'unico aspetto che ci interessa e fa preoccupare delle questioni ambientali è il rischio per la nostra salute e per la nostra sopravvivenza come esseri umani.
Possiamo provare ad allargare il campo e non pensare solo a noi umani?
Evitare gli eufemismi.
A volte tendiamo a sfumare il significato di alcune questioni ambientali, smorzandone i significati più duri o allarmanti.
È il caso della parola "perdita" al posto di "estinzione", o dell'espressione "impattare sull'ambiente" invece di "inquinare l'ambiente".
Il problema è che gli eufemismi non aiutano a dare visibilità ai danni perpetuati da persone, industrie e governi.
Abbandonare l'ottica puramente economica ed estrattivista.
Non trattare la natura come una mera fonte di risorse per l'umanità.
Rendere esplicite le responsabilità, nominare quando serve.
Il pianeta si sta surriscaldando o è l'attività umana che sta surriscaldando il pianeta?
Ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono negli oceani... o sarebbe meglio dire che ogni anno persone e industrie gettano negli oceani quantità scandalose di plastica?
Siamo noi la parte che opprime.
Il degrado ambientale che stiamo imparando a conoscere bene, così come alcune mortali conseguenze della forza degli agenti atmosferici, derivano dalle azioni umane. Punto.
Mini glossario della comunicazione inclusiva:
Ecocidio
È un neologismo promosso dalla campagna Stop Ecocide, nata nel 2017 grazie all'avvocata britannica Polly Higgins e all'attivista ambientale Jojo Mehta.
(C'è anche il sito in italiano, seppur incompleto).
Il loro obiettivo è promuovere l'inserimento dell'ecocidio tra i crimini internazionali riconosciuti dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.
Cosa si intende per ecocidio?
Le avvocate e gli avvocati che aderiscono a Stop Ecocide hanno definito l'ecocidio come la distruzione massiva e perpetuata nel tempo degli ecosistemi, «un danno alla natura diffuso, grave o sistemico».
Tra i danni che Stop Ecocide propone di contemplare nel crimine di ecocidio rientrano:
I danni agli oceani, come le pratiche illegali di pesca a strascico, gli sversamenti di petrolio dalle imbarcazioni, l'inquinamento da plastica e microplastica, l'industria estrattiva nei fondali marini.
La deforestazione, che al momento rappresenta il più grande rischio per la biodiversità e il clima del pianeta, in particolare nelle foreste pluviali tropicali.
La contaminazione delle terre e dell'aria.
Se questo obiettivo venisse raggiunto, si aprirebbe un'occasione storica per considerare la natura e le altre specie viventi come soggetti di diritto, rappresentabili legalmente.
È una questione in realtà non nuova: già nel 1972, il professor Christopher D. Stone, un'autorità nell'ambito del diritto ambientale internazionale, si chiedeva “should tree have standing?”, gli alberi dovrebbero avere uno status giuridico?
Ci sono poi alcuni Paesi del mondo il cui sistema legislativo riconosce già dei diritti giuridici alla natura.
È il caso dell'Ecuador, che nel 2008 ha modificato la sua Costituzione introducendo l'articolo 71, che inizia così:
«La Natura o Pacha Mama, dove si riproduce la vita, ha il diritto a vedere la sua esistenza pienamente rispettata (...)».
Anche la Nuova Zelanda, nel 2017, ha attribuito al fiume Whanganui e ai suoi affluenti, sacri al popolo Maori, lo status di persona giuridica.
Se vuoi leggere qualcosa in italiano, qualche mese fa il Post ha parlato di ecocidio in un articolo approfondito.
Altre cose interessanti da leggere e vedere
I limiti della paura nella narrativa del cambiamento climatico, Emiliano Bruner e Fernando Valladares su The Conversation (è in spagnolo, ma il traduttore automatico del browser fa un lavoro accettabile).
Te ne traduco un pezzetto:
«I rapporti del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) contengono prove sempre più definitive sulla traiettoria delle emissioni di gas serra, il riscaldamento che generano nell'atmosfera e la connessione con la crescente instabilità del clima che si manifesta con eventi estremi e devastanti.
[...]
Ma nel linguaggio dell'IPCC abbonda il ricorso al concetto di "minaccia". Dobbiamo riflettere sull'uso della paura per convincere dell'importanza di una prospettiva ecologica nella gestione dell'ambiente. In altre parole, se si usa la paura per raggiungere un obiettivo, dobbiamo essere consapevoli che bisognerà affrontarne le conseguenze e tutta una serie di possibili effetti collaterali.»
Le storie Instagram (visibili anche se non usi l'app) di Veronica Fernandes, giornalista di RaiNews, sulla deforestazione e la produzione di carbone in Kenya.
“Il sale della Terra”, un magnifico film-documentario fotografico diretto da Wim Wenders sulla vita e l'arte del fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Una storia che procede lungo i decenni: dall'inizio della sua vocazione fotografica, ai viaggi negli angoli più reconditi del mondo fino all'immenso lavoro di Genesis, una lettera d'amore alla Terra e agli ecosistemi che cambiano sotto i nostri occhi. Senza però lasciarsi zittire dall'impotenza.
Eco-Bot.Net, la piattaforma che smaschera la disinformazione sul cambiamento climatico e il greenwashing aziendale sui social media durante la COP26.
(Grazie alla newsletter di Dataninja per avermela fatta scoprire! Hai già fatto l'iscrizione alla loro newsletter del venerdì, vero?).
“Berta Didn't Die, She Multiplied!”, è un documentario del 2017 diretto da Sam Vinal. È dedicato a Berta Cáceres e alla sua eredità nelle lotte indigene contro lo sfruttamento delle terre:
Conosci la storia di Berta Cáceres?
Era un'amatissima e rinomata attivista honduregna per i diritti ambientali e indigeni, una leader tra i Lenca, il suo popolo indigeno che vive vicino al fiume Gualcarque. Nel 2015 vince il Goldman Environmental Prize e il 3 marzo 2016 viene assassinata nella sua casa.
«Si batteva contro il militarismo, contro il patriarcato e l'omofobia – ricorda sua madre in questo documentario — [...] Per me il suo omicidio è stato pianificato dopo le lotte contro la costruzione della diga sul fiume Gualcarque.»
L'Honduras è tra i Paesi più pericolosi al mondo per essere un'attivista per i diritti dell'ambiente: ma la morte di Berta Cáceres non ha messo a tacere né il popolo Lenca né le tante persone che lottano per la giustizia e la sovranità indigena.
"Berta no murió, se multiplicó! Berta non è morta, si è moltiplicata!" è il grido di protesta che si è propagato, dopo il suo assassinio, da Tegucigalpa a ogni angolo del mondo.
La voce di Berta è rimasta in vita grazie al lavoro delle figlie, Bertha e Laura Zúñiga Cáceres, che hanno ereditato la direzione del COPINH, il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell'Honduras.
(Il titolo della newsletter di oggi è la traduzione di una frase che Berta Cáceres ripeteva spesso: «Nos tienen miedo porque no tenemos miedo»).
Per questo lunedì ho finito. Se tutto va bene ci risentiamo tra due settimane.
Intanto, rispondi pure a questa email se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri (magari una parola per il mini glossario di comunicazione inclusiva?), o un saluto.
Ciao!
Alice