E tu, in che cosa credi? 📢
#17
Ciao!
Sono Alice Orrù e questa è Ojalá, la newsletter che parla di scrittura e rappresentazione inclusive, begli esempi di accessibilità sul web e storie variopinte.
Io sono una copywriter e traduttrice tecnica con il pallino per il linguaggio inclusivo. Vivo a Barcellona dal 2012 e per questo la mia newsletter contiene giocoforza anche qualche incursione di vita catalana e tanta, tanta salsa brava.
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Qualche giorno fa, io e la mia amica Erika Marconato ci siamo (video)viste per l'appuntamento mensile del nostro gruppo di lettura.
[Sì, abbiamo un gruppo di lettura con due sole partecipanti, un programma ricchissimo e un regolamento scritto a puntino: d'altronde Erika è, tra altre bellissime cose, anche un'esperta di gruppi di lettura e mi sta insegnando un sacco su come godere al massimo di questa esperienza.]
Abbiamo letto Factfulness, Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno meglio di come pensiamo, saggio di Hans Rosling che ho amato molto e non vedevo l'ora di leggere.
Hans Rosling è stato un medico, statistico e accademico svedese, ma anche mangiatore di spade, appassionato di circo, viaggiatore e grande osservatore.
Ha scritto Factfulness nel 2018 insieme a suo figlio Ola e alla nuora Anna Rosling Rönnlund. Insieme hanno fondato la Gapminder Foundation che ha la missione di «sconfiggere l'ignoranza dilagante con una visione del mondo basata sui fatti».
Il loro saggio riesce benissimo nell'intento.
Non sconfigge l'ignoranza mondiale, ok, ma se lo leggi ti ritroverai di fronte ad argomentazioni che più di una volta ti faranno tirare un sospiro di sollievo e pensare ‟ah, ma quindi il mondo non va così a rotoli come sembra!”.
Un pensiero che consola, ma con consapevolezza.
Rosling ti fa fare quel sospiro di sollievo non perché usi frasi motivazionali cercando di strapparti a forza dal cervello l'ottimismo che ti rimane, oh no.
Ti mette, semplicemente, di fronte ai dati.
E ti insegna a dar loro un contesto, a leggerli con criterio, a farti domande e, soprattutto, a riconoscere quei dieci istinti, ben inculcati nelle nostre menti, che spesso ci fanno perdere la bussola e distorcono la nostra prospettiva.
Quali sono gli istinti che condizionano la nostra lettura del mondo?
Le scienze cognitive hanno studiato, nei decenni, quasi 200 bias cognitivi (e su Wikipedia la lista viene mantenuta aggiornata con tutti i riferimenti).
Illustrazione di Jm3 - Own work, CC BY-SA 4.0, Wikimedia
Factfulness si concentra su dieci istinti umani che alimentano i nostri bias inconsci e, a seconda del tema, ci fanno propendere verso la paura e il senso di ineluttabilità o stimare in maniera fuorviante dimensioni, destini, urgenze.
Per esempio, ti suona familiare questo comportamento?
Spiegarti tutto in una sola newsletter è davvero complicato, ma ti lascio qui sotto i nomi dei dieci istinti; ti invito ad approfondirli sul sito della Gapminder Foundation (o leggendo tutto il libro, vale davvero la pena!):
Istinto del divario
Istinto della negatività
Istinto della linea retta
Istinto della paura
istinto delle dimensioni
Istinto della generalizzazione
Istinto del destino
Istinto della prospettiva singola
Istinto dell’accusa
Istinto dell’urgenza.
Credere è molto più forte di sapere
Oltre ai tanti insegnamenti che ho trovato nel saggio, la lettura di Factfulness mi ha regalato anche un'altra interpretazione preziosa: quella di Erika.
Credere in qualcosa è molto più potente che saperla e basta, mi ha detto durante la nostra discussione sul libro.
E io mi sono segnata questa frase perché, quando Erika l'ha pronunciata a voce alta e in questo contesto, un cassetto nella mia testa si è riaperto.
Noi, che abbiamo accesso a Internet e a diversi dispositivi da cui consultarlo, abbiamo l'enorme privilegio di poter sapere davvero tantissime cose.
Possiamo informarci, leggere, approfondire quello che ci interessa.
Sapere cose, in quest'epoca in cui la FOMO – l'ansia di non perderci nulla – siede spesso alle nostre tavole, è quasi scontato.
Sembra facile, accessibile, a portata di mano.
Ma crederci, a tutte quelle cose, è diverso.
E uso il verbo credere non solo nel senso di ritenere un'informazione vera.
Scendiamo di un livello, addentriamoci in quello spazio in cui non solo sappiamo ma abbracciamo anche con convinzione quelle informazioni, le assimiliamo come parte sostanziale delle nostre opinioni, del nostro modo di stare al modo.
Prova a pensarci.
Quali sono le cose che non solo sai, ma in cui credi così tanto da renderle parti fondanti del tuo relazionarti (o non) con il mondo?
E quali sono i dati, se ci sono, che alimentano le cose in cui credi?
Io, così a caldo, ti risponderei: il femminismo intersezionale, l'accessibilità, la necessità di comunicare in modo chiaro e il fatto che, quando ho il mare vicino, vivo molto meglio.
🌈 (Vuoi condividere la risposta con me e, anonimamente, con le altre persone che leggono Ojalá? Apro un nuovo sondaggio!)
Mini glossario della comunicazione inclusiva:
Per il termine di glossario di questa settimana lascio la parola ad Alessandra Arpi, una cara collega che lavora con le parole: lo fa da giornalista e formatrice ma anche da copywriter e content editor per realtà che vogliono parlare meglio.
La sua newsletter, Caramelle da una sconosciuta, indaga e racconta (disperatamente, ci tiene a precisarlo!) come il linguaggio costruisca la realtà in cui viviamo. Oltre a essere talmente potente da poterla rendere più comoda per tuttə, comprensibile e funzionante. Dieci anni fa ha vissuto sei mesi negli Stati Uniti, al college, e la sua terapista dice che c'è un'Alessandra pre-America e una post.
Bias
Traducibile con “preconcetto”, “pregiudizio” o “propensione”, bias è una di quelle parole inglesi che perde un po' la sua potenza in ogni traduzione, ma sta a significare una piccola o grande informazione che si deposita nella nostra mente e che fa fatica a evolvere.
Una volta che l'informazione si è instaurata è molto difficile sradicarla.
Anche perché, come sottolinea uno studio pubblicato da PNAS nel 2016 (The spreading of misinformation online), le persone tendono a selezionare e condividere contenuti connessi a una specifica narrativa, quella a cui hanno allineato le proprie opinioni, e a ignorare il resto.
Per questo si parla proprio di confirmation bias o pregiudizio di conferma, che ci guida nella ricerca delle informazioni. Tendiamo a cercare, prendere in considerazione e valorizzare solo notizie e pareri che confermano ciò di cui siamo già convintƏ. Preferiamo ignorare, d'altra parte, tutte le evidenze che contraddicono le nostre convinzioni già radicate.
Questo meccanismo avviene spesso per motivi di 'economia mentale': il cervello umano preferisce focalizzarsi su quello che già sa.
E per capire meglio perché succede, facciamo un salto nel 1922: Walter Lippmann, politologo e giornalista statunitense, teorizzava nel suo volume “L'opinione pubblica” il fatto che in qualsiasi società la vita si organizzi su idee che non derivano dalla conoscenza diretta delle persone, ma da immagini che la loro mente forma o che arrivano dall'esterno, soprattutto dai mezzi di comunicazione.
Per sopperire alla mancanza di tempo, capacità e attenzione, gli esseri umani usano un modello per semplificare la complessità dell'esistente per costruire la propria conoscenza.
«L'ambiente reale, preso nel suo insieme, è troppo grande, troppo complesso e troppo fuggevole per consentire una conoscenza diretta. Non siamo attrezzati per affrontare tante sottigliezze, tanta varietà, tante mutazioni e combinazioni. E pur dovendo operare in questo ambiente, siamo costretti a costruirlo su un modello più semplice per poterne venire a capo. Per attraversare il mondo gli uomini debbono possedere carte geografiche. [...] Lo studioso dell'opinione pubblica deve quindi cominciare col riconoscere il rapporto triangolare esistente tra la scena dell'azione, la rappresentazione che l'uomo si fa di questa scena e la reazione a tale rappresentazione, rioperante a sua volta nella scena dell'azione.»
Questo significa che i bias, le nostre convinzioni costruite per dare una sorta di serenità al nostro cervello, è inevitabile che ci condizionino.
Quando persistono e si incontrano con i bias di altre persone, è facile che si creino quelle che Walter Quattrociocchi, direttore del Data and Complexity for Society Lab dell'Università La Sapienza di Roma, e gli altri autori dello studio Misinformation online, definiscono echo chambers: il bisogno di sentirsi simili a persone amiche o personalità di rilievo, di rientrare in una specifica cerchia di opinioni. Tutto questo diventa un fattore determinante per costruire idee su fatti e notizie.
Come dice lo studio Misinformation online (la traduzione è mia):
«In particolare, notiamo che l'omogeneità sociale è la prima spinta per la diffusione dei contenuti, e un risultato frequente è la formazione di gruppi (cluster) omogenei e polarizzati. La maggior parte delle volte l'informazione è recuperata da un contatto che appartiene allo stesso gruppo, alla stessa “camera dell'eco”.»
Cosa dobbiamo farci con questa informazione?
Tenerla a mente: sapere che funzioniamo così, che possiamo anche decidere di andare contro ai nostri istinti e uscire dalle nostre bolle, per confrontarci con fonti diverse, permetterci di evolvere le nostre opinioni e metterle alla prova.
Costruiamoci la nostra personale educazione al disaccordo.
Le dieci domande da farci per contrastare gli istinti drammatici, come li chiama Rosling in Factfulness.
Altre cose interessanti da leggere e vedere
L'ultima volta che ho mandato Ojalá ho introdotto un nuovo modo di comunicare con te che mi leggi: un sondaggio a risposta aperta.
Ti avevo chiesto in che modo, secondo te, la comunicazione inclusiva ha a che fare con la narrazione del cambio climatico.
Come è andata?
Ho ricevuto 40 risposte davvero belle, articolate e profonde. Grazie alle 40 persone che hanno voluto saltare la barriera dell'imbarazzo e mi hanno lasciato la loro opinione.
Tutte le risposte si possono leggere qui, dimmi un po' se non è una varietà di visioni che rincuora.
Ti interessa saperne di più su come funziona (o come si organizza) un gruppo di lettura? Allora leggi questo articolo di Erika Marconato che spiega l'organizzazione di Cibo per la mente, il gruppo di lettura che ha fondato a Trento nel 2016.
Vuoi unirti a un gruppo di lettura ma nella tua zona non ne esiste nemmeno uno?
Strategie Prenestine, il gruppo di lettura di Roma Est fondato da Valentina Aversano e Carola Moscatelli, ha da poco fatto il grande passo e si è trasformato in associazione: non solo discussioni dal vivo, ma anche incontri su Zoom e un attivissimo gruppo Facebook!
Cognitive bias cheat sheet. Because thinking is hard, di Buster Benson. Benson raggruppa i bias in base al problema che cercano di risolvere.
Traduco una parte dell'introduzione:
«Ogni bias cognitivo esiste per una ragione, prima di tutto per far risparmiare al nostro cervello tempo ed energie. Se li osserviamo sotto la luce del problema che cercano di risolvere, è più facile capire perché esistono, in che modo ci aiutano e quali sono i compromessi (con conseguenti errori mentali) a cui ci inducono.»
Inizia a contare: il potere e il limite dei dati nello svelare il mondo, l'intervento di Donata Columbro alla TEDxCuneo dello scorso maggio.
Donata è una delle persone che, di recente, mi ha insegnato di più sui dati e su come leggerli (le mie conoscenze di statistica datate 2003 avevano proprio bisogno di un spolverata!). È grazie a lei che sto approfondendo il concetto di data feminism e che ho avuto la curiosità di leggere Factfulness.
Nel suo intervento, Donata dice:
«Quando inizi a contare, succede questo: scopri una realtà di cui non ti eri accorta prima. E magari puoi cambiarla in meglio.»
A proposito di fatti, una gif tratta dalla serie tv "The Good Place" che ti consiglio di vedere, se non la conosci già.
Per questo lunedì ho finito. Se tutto va bene ci risentiamo tra due settimane.
Intanto, rispondi pure a questa email se vuoi lasciarmi un'opinione, una richiesta di contenuti futuri (magari una parola per il mini glossario di comunicazione inclusiva?), o un saluto.
Ciao!
Alice