#93 Solo il cielo e la terra
Viaggio lessicale tra le culture delle persone romanì, in Italia e Spagna.
Nelle puntate precedenti ho parlato di cosa significa per me la parola radicale e della difficoltà di tradurre certi sentimenti e stati mentali da una lingua all’altra.
In questo episodio:
Il tema di oggi è la seconda parte di una serie dedicata alla Giornata internazionale delle comunità Rom, Sinti e Caminanti, che si celebra l’8 aprile: la condivido con Roberta Cavaglià, che venerdì ha scritto di uno strano anacronismo sulla sua newsletter
(a cui ti consiglio tanto ma tanto di iscriverti!).Carmen y Lola, un film che parla di comunità gitana senza coinvolgere la comunità gitana, ma io mica l’avevo capito.
La voce inascoltata delle persone Rom: un’intervista a María José “Guru” Jiménez Cortiñas.
Le declinazioni dell’antiziganismo e un piccolo vademecum per maneggiare le parole.
Altre risorse per approfondire: il RomArchive, dizionari illustrati e archivi di memoria orale, una campagna spagnola contro le definizioni discriminatorie.
Pausa in vista: Lunedì prossimo è Pasquetta e anche in Catalogna (ma non in tutta la Spagna) è festa. Io mi fermo per un giro e torno il 28 aprile.

Un giorno del 2019, quando ancora vivevo a Barcellona città, sono andata al cineforum del mio barrio a vedere Carmen y Lola, film diretto da Arantxa Echevarría e uscito al cinema qualche mese prima con grandi lodi internazionali. (Credo sia ancora oggi nel catalogo Netflix.)
La storia è quella di Carmen e Lola, due sedicenni gitane che vivono in una comunità Rom a Madrid e lavorano al mercato con le loro famiglie. Carmen si sta preparando per il matrimonio con un ragazzo della sua età, macho e possessivo come gli uomini più grandi della sua famiglia. Lola invece è più ribelle, ama fare i graffiti e vorrebbe andare all’università, cosa che il padre non tollera. In più, è lesbica: non ha fatto coming out, ma quando diventa amica di Carmen e il loro rapporto si fa più intenso, la situazione si complica. La relazione tra le due si scontra con il rigido sistema patriarcale e lesbofobo che le circonda.
A me, che di comunità gitana in Spagna allora sapevo davvero poco, il film era piaciuto molto. Un po’ come a tutte le persone payas (così vengono chiamate le persone non gitane dalla comunità Rom spagnola) che erano rimaste incantate e commosse dal racconto cinematografico di Echevarría.
C’era solo un problema: la comunità gitana, e in particolare la Asociación Gitanas Feministas por la Diversidad (associazione delle gitane femministe), non era per niente contenta delle scelte narrative della regista.
Eppure l’associazione era stata coinvolta da Echevarría nelle fasi iniziali del lavoro sul film. Carmen Fernández, vicepresidente dell’associazione, aveva raccontato a El Diario che l’associazione si era confrontata con Echevarría sulla necessità di una narrazione eterogenea della comunità gitana, ancora pressoché assente sul grande schermo.
E invece era finita così:
“[Il film] non mostra nulla di positivo sulla popolazione gitana. Alla fine, ciò che vende è il fatto che la nostra cultura è soffocante”, dice l'attivista. Si rammarica del fatto che, “dopo che noi le abbiamo parlato da una prospettiva di genere, LGBT, antirazzista e decoloniale”, la regista “abbia scelto la narrazione più dannosa”.
— El Diario, 11 giugno 2018
In effetti, Carmen y Lola porta avanti la storia in un contesto che sembra venire dal manuale del perfetto stereotipo gitano: il mercato rionale, la festa del pedimiento (la promessa di matrimonio), las palmas, i colori sgargianti, il machismo, la marginalità, l’intolleranza per la diversità.
Quella sullo schermo è una comunità chiusa, che interagisce poco con il resto del mondo, dove le persone non gitane nemmeno entrano, unica eccezione la professoressa di Lola che prende a cuore il suo caso.
Carmen y Lola viene così ricordato come un caso cinematografico di appropriazione della narrazione di un gruppo minorizzato e di come si possono perpetuare gli stereotipi a favore di uno sguardo esterno, payo, in questo caso.
Ora ti dico che sono d’accordo ma a suo tempo, quando ho visto il film, non ci ho pensato. Perché la finzione cinematografica non smuoveva di un millimetro la narrazione stereotipata che già mi era familiare, quel macinato di folklore e pregiudizio che prevale sugli schermi televisivi, sugli articoli di giornale e nel lessico quotidiano.
A far molto discutere erano state anche le dichiarazioni della regista una volta che il film era arrivato in Spagna:
“Se non è una paya a raccontare la situazione delle donne rom, non lo farà nessuno. Purtroppo deve farlo una paya perché loro non hanno voce”.
¡Vaya!, esclamerebbero da questa parte del Mediterraneo. La voce ce l’hanno eccome: in Spagna, oltre all’Asociación Gitanas Feministas, esiste la Fundación Secretariato Gitano, la Asociación Nacional Unión del Pueblo Romanì e le loro diverse ramificazioni regionali.
Quando affermiamo che una minoranza “non ha voce”, forse stiamo piuttosto ammettendo che quella voce — che esiste — non ci interessa tanto ascoltarla.

Le declinazioni dell’antiziganismo
Ho ripensato a questa storia ascoltando l’episodio di Sabor a Queer con l’intervista a María José “Guru” Jiménez Cortiñas, presidente dell’Asociación Gitanas Feministas por la Diversidad.
Il fulcro della conversazione è l'antigitanismo, definito da Guru come il razzismo specifico contro le persone gitane, un razzismo diffuso e feroce, ma soprattutto consapevole e consentito. È la stessa discriminazione che in italiano chiamiamo antiziganismo.
Guru fa qualche esempio partendo dalla sua esperienza:
• L’impossibilità di affittare una casa a suo nome nonostante abbia un lavoro stabile, a causa del suo aspetto fisico.
• La diffidenza nei supermercati da parte delle guardie di sicurezza e del personale di cassa se non si conforma a un aspetto considerato payo (per esempio togliersi i grandi orecchini tondi e tenere i capelli sciolti anziché raccolti a crocchia).
• La difficoltà di ottenere un lavoro, di qualsiasi tipo, a causa del pregiudizio che le persone Rom rubino.
• Durante la pandemia, i quartieri gitani in Spagna sono stati assediati dalla polizia, impedendo loro di fare la spesa o recarsi dai medici.
Sono esperienze che di certo non si limitano al vissuto delle persone gitane spagnole. In un episodio del podcast Amare Parole dello scorso luglio, Vera Gheno riassume i dati del rapporto Ignorance Index di Ipsus Mori 2017 sulla percezione in Italia delle persone Rom:
Rom e sinti, sebbene siano spesso di nazionalità italiana da molte generazioni, sono percepiti come i più stranieri di tutti.
Non vorrebbe averli come vicini di casa il 68,4% degli intervistati e solo il 22,6% li accetterebbe se si comportassero in modo ritenuto adeguato.
Indagini nazionali e internazionali rilevano un diffuso e pericoloso antiziganismo alimentato dall'ignoranza del fenomeno, da un linguaggio emergenziale e fuorviante, per esempio “emergenza nomadi”, e da un'informazione spesso scorretta da parte dei media.
L'82% degli italiani esprime un'opinione negativa rispetto alle persone rom, valore più alto tra i paesi analizzati dal rapporto.
Le differenze tra gli stati europei non dipendono da fattori demografici come la grandezza della minoranza Rom nel paese, ma dalle politiche di inclusione adottate, nonché dalla possibilità di contatto interpersonale e di amicizia fra Rom e gagi (cioè le persone non Rom) — le cosiddette politiche di desegregazione.
Maneggiare le parole
Una delle conseguenze più immediate dell’antiziganismo diffuso è la nonchalance con cui ancora si usano certe parole per definire le persone di origine romanì.
Mettete la parola “ebreo” ogni volta che compare il termine “rom” o “sinto”. Prima si leggano i testi, e poi si rifletta sull’effetto che farebbe di sentire parlare dei “campi ebrei”; dei “centri di raccolta ebrei”; delle “case popolari per soli ebrei”; di “Piani per l’inclusione degli ebrei”.
Z*ngar* è offensivo
Nel caso servisse ricordalo, ti riporto un passaggio di questo articolo esaustivo di Ivana Nikolić per Colory*:
Nella maggior parte delle lingue, alla parola “z*ngar*” viene attribuito un significato offensivo ed è perciò una parola rifiutata da noi Rom.
È “Roma” la parola da considerarsi corretta per identificare tutti i gruppi correlati, indipendentemente dal loro paese di origine.
“Roma” è divenuto il termine globalmente accettato dal 1971, cioè da quando i rappresentanti della comunità Rom hanno adottato la bandiera, hanno scelto l’inno “Djelm Djelem” e convalidato la Giornata Internazionale di tutta la Comunità Rom, ricadente l’8 aprile.

Roma, Rom o popolo romanì sono tutte parole accettate e rispettose per parlare della comunità italiana. In lingua romanes la parola “rom” significa “uomo”.
Le persone Sinti, invece, fanno parte del sottogruppo storico della comunità Rom che vive soprattutto in Italia settentrionale e centrale.
Caminanti è il nome della comunità presente soprattutto nell’area di Noto in Sicilia, ma ha un’identità culturale e storica diversa da Sinti e Rom per cui non si considerano parte del popolo romanì.
Tra gli stereotipi e i falsi miti che gravano sul popolo romanì, c’è quello che li assocerebbe al nomadismo. Ma questo è falso, la maggior parte del popolo romanì italiano non è affatto nomade. Come dice Ivana Nikolić nell’articolo che ti ho linkato poco sopra:
Questa falsa convinzione nasce da due presupposti: il primo riguarda il legame che la comunità ha instaurato con le proprie tradizioni piuttosto che con uno specifico territorio. “Noi non abbiamo niente, se non il cielo e la terra”: è una frase tipica di noi Rom che rappresenta un legame intrinseco verso la libertà; al di là della religione, della nazione o quant’altro.
Il secondo presupposto, che riguarda per lo più l’Europa, fa riferimento al più grande esodo post-guerra mondiale della comunità romanì. Si tratta della Guerra dei Balcani. Molte famiglie Romanì – stanziate ormai da anni nell’Europa dell’Est – furono costrette a migrare per via della guerra.
[…] Da profuga della guerra dei Balcani ho vissuto nei “campi solo per Z*ngar*” perché “colpevole” di essere una di loro.
E nonostante razionalmente sappia di non essere colpevole, mi ci sono voluti anni prima di non provare quel senso di colpa, essendo cresciuta in un contesto dove la mia generazione e tutte quelle venute prima di me sono state considerate “ladri”, “sporchi”, “inferiori”. È proprio questo il risultato di una storia raccontata male, fatta di discriminazioni in cui la persona non è mai considerata tale (disumanizzazione), una comunità non è mai vista senza il filtro dell’odio.
Oggi, le stragrande maggioranza delle persone Rom e Sinti vive in abitazioni convenzionali. Secondo i recentissimi dati raccolti dall’Associazione 21 luglio, sono circa 11.000 le persone che vivono in insediamenti monoetnici organizzati dalle istituzioni.
Se consideriamo che in Italia le stime parlano di 180.000 persone Rom e Sinti (stime, perché non esiste un censimento ufficiale), significa che meno del 6% di loro vive nei “campi” erroneamente considerati “nomadi”.
La gran parte di questi “campi” sono in realtà spazi istituzionali concepiti su base etnica: campi rom/sinti, centri di raccolta, aree residenziali monoetniche.
Se vuoi approfondire, ti consiglio di fare un giro nel bel sito del progetto Paese dei campi dell’Associazione 21 luglio.
Stereotipi romanticizzati
Gitano invece è uno spagnolismo: viene da egiptano, perché si credeva erroneamente che il popolo romanì venisse dall’Egitto. In Spagna si usa per riferisi alle persone Calé, sottogruppo della popolazione romanì presente storicamente nella penisola iberica.
In italiano invece la usiamo con intenzione romantica o esotizzante, associandolo alla musica, alla danza, alla “passionalità”.
Un po’ come si fa con il termine inglese gypsy, che ha una connotazione offensiva, ma che per qualche motivo che ora mi sfugge — sarei tentata di dire “marketing” — è diventato un termine cool associato a immagini di libertà, spirito bohémien, sensualità, mistero.
Hai presente quell’estetica patinata che inneggia a una vita libera, non convenzionale, magari nomade? Ecco. Facile dirsi gypsy quando non lo sei davvero. 😬
Altre risorse per approfondire ✨
Uno strano anacronismo, l’episodio di Ibérica di Roberta Cavaglià che ripercorre la storia passata e recente della popolazione gitana in Spagna, tra episodi di discriminazione, inclusi tentativi di espulsione e di sterminio.
RomArchive è l’archivio digitale dedicato alle arti e alle culture del popolo romanì. Dentro trovi archivi fotografici, documentari e altre opere artistiche arricchite da interviste e ricerche accademiche. Tutte le fonti sono incentrate sull'auto-rappresentazione e curate da persone Rom.
Un bel dizionario illustrato catalano - romanes divulgato dal dipartimento della cultura della Generalitat Catalana: guardalo anche se non parli catalano, secondo me è un bellissimo esempio da replicare.
In italiano ho trovato il vocabolario polinomico e sociale italiano–romanì (apre un pdf) sviluppato nell'ambito del progetto "Le parole della romanipè". Ci trovi non solo una panoramica del lessico romanì con le varianti presenti in Italia, ma anche una bella raccolta della memoria orale con interviste alle persone Rom che hanno contribuito a creare il vocabolario.
Se ti piacciono i podcast, ti consiglio +rom -rum di Ivana Nikolić e Voci Rom di Art 33 - Cultural Hub.
Hai visto la serie tv Suburra? Io no, ma una persona cara mi ha fatto notare che anche in quel caso, a suo tempo, si era parlato di certi stereotipi nella rappresentazione dei protagonisti di etnia Sinti.
#YoNoSoyTrapacero (“Io non sono "imbroglionə") è una campagna spagnola lanciata dieci anni fa per l’8 aprile. L'obiettivo era sensibilizzare l'opinione pubblica sulla discriminazione nei confronti della comunità gitana e sollecitare la Real Academia Española (RAE) a modificare una delle definizioni del termine "gitano" nel suo dizionario.
All’epoca, infatti, una delle definizioni del dizionario ufficiale spagnolo includeva tra le definizioni di "gitano" questa: Que estafa u obra con engaño ("che truffa o agisce con inganno"):
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Complimenti per questo tuo lavoro. Sono davvero sconvolta da quante cose ignorassi su questo argomento. E lo dico con dispiacere. L’ignoranza è la prima fonte di un razzismo che spesso abbiamo interiorizzato ed esplicitiamo anche nel linguaggio, più o meno consapevolmente. Sono molto contenta di aver letto questa puntata. E complimenti ancora per i tantissimi spunti di riflessioni che offri. Grazie.
"Caminanti è il nome della comunità presente soprattutto nell’area di Noto in Sicilia, ma ha un’identità culturale e storica diversa da Sinti e Rom per cui non si considerano parte del popolo romanì."
Io sono di Avola, dieci minuti da Noto, e questa cosa non la sapevo! Imparo sempre da te, grazie!