#58 Quanti punti esclamativi usi?
Se ti sembra una domanda strana, sappi che c'è chi ha cercato risposte con una prospettiva di genere.
Il giorno di Pasqua, io e la mia famiglia abbiamo preso la macchina e ci siamo sparati 1199 km per guidare — con pause — fino a Porto. Buona parte del tragitto era alle nostre spalle, ore di playlist condivise e podcast già ascoltati, quando ho premuto play su un episodio di No te lo habías preguntado, podcast spagnolo di Judith Tiral.
L’episodio si intitolava ¿Porqué las mujeres tenemos que usar más signos de exclamación? (Perché noi donne dobbiamo usare più punti esclamativi?).
In 18 minuti, Judith Tiral ripercorre la storia del punto esclamativo, dalla presunta paternità del poeta Iacopo Alpoleio da Urbisaglia alla sua evoluzione tra fumetti e campagne pubblicitarie.
Se non conosci lo spagnolo, puoi guardare l’ottavo episodio della serie Netflix “In poche parole” che dice esattamente le stesse cose.
Nell’episodio del podcast, Judith Tiral si sofferma sui risultati di uno studio del 2006 — realizzato da Carol Waseleski, Southern Connecticut State University, apparentemente l’unico pubblicato finora sul tema — secondo cui uomini e donne1 usano i punti esclamativi in modo diverso.
O meglio, le donne usano i punti esclamativi con molta più scioltezza rispetto agli uomini.
Traduco l’abstract dello studio e le premesse della ricerca:
Ricerche precedenti hanno riportato che le donne usano i punti esclamativi più frequentemente degli uomini. Queste ricerche spesso caratterizzano i punti esclamativi come "marcatori di entusiasmo", un termine che suggerisce instabilità e aleatorietà emotiva; ma non hanno esaminato i contesti in cui i punti esclamativi sono apparsi alla ricerca di prove di questo "entusiasmo".
Il presente studio si serve di una struttura di codifica composta da 16 categorie per un'analisi del contenuto di 200 esclamazioni inviate a due forum online a tema biblioteche e scienze dell'informazione.
I risultati indicano che i punti esclamativi raramente funzionano come marcatori di entusiasmo nei forum professionali, ma possono funzionare come marcatori di interazione amichevole. Si tratta di una scoperta che ha implicazioni per la comprensione degli stili di scrittura differenziati per genere nelle email e in altre forme di comunicazione digitale.
Le conclusioni sono queste:
Il 73% di tutti i punti esclamativi analizzati sono stati usati da donne, il 27% da uomini. Il 70% di tutte le affermazioni "amichevoli"2 sono state fatte da donne e il 30% da uomini. Per quanto riguarda le dichiarazioni di "fatti"3, l'81% viene dalle donne e il 19% dagli uomini. Infine, le donne hanno scritto il 53% delle affermazioni "emotive"4, rispetto al 47% degli uomini.
(Se ora scorri questa newsletter fino in fondo — è un po’ lunga, lo so — trovi le note a piè di pagina con qualche dettaglio in più sullo studio.)
Quindi ok, le conclusioni dicono che, in genere, le donne si affidano più degli uomini ai punti esclamativi per modulare il tono dei messaggi, anche in ambito professionale. Lo fanno soprattutto per esprimere affabilità ed empatia.
Judith Tiral ricorda che nel documentario “In poche parole” compare anche un’indagine del 2018 di Morning Consult, che aveva intervistato un certo numero di uomini per capire se la percezione dei punti esclamativi in testi scritti in ambito professionale variasse molto a seconda del genere.
Non ho trovato la fonte diretta di questa indagine, quindi non so esattamente quanti uomini fossero stati intervistati e come era stato strutturato lo studio. Però mi sembra comunque curioso. I risultati che vedo presentati nel documentario Netflix sono questi:
- Se un’email viene inviata da una collega donna, il 49% degli uomini intervistati trova molto professionale l'uso dei punti esclamativi nel testo:
- Quando la stessa email viene inviata da un collega uomo, la percezione di professionalità crolla:
Cioè, secondo l’indagine i punti esclamativi non sarebbero abbastanza mascolini. 😅
Ora, ho preso tutto questo con le pinze perché, non trovando il report originale di Morning Consult, non ho capito perché abbiano fatto questa domanda solo agli uomini.
E le donne come percepiscono l’uso di punti esclamativi nelle email di colleghi e colleghe? Ci interessa saperlo? Mi sono persa dei pezzi? O basta che, ancora una volta, sia l’autorevole sguardo maschile a definire cosa è professionale e cosa non lo è?
Non contenta, mentre scartabellavo l’internet per trovare risposte, ho trovato una pagina dedicata al punto esclamativo di This is gendered, “l’enciclopedia femminista”. Te la traduco:
Il linguaggio svolge un ruolo fondamentale nel perpetuare il sessismo e la discriminazione, perché riflette e riproduce gli squilibri di potere nella società. Punto di partenza naturale per qualsiasi discussione su linguaggio, potere e genere, è la proposta della linguista Robin Lakoff, secondo cui il modo di parlare degli uomini e quello delle donne differiscono in modo sostanziale, e che queste differenze riflettono la sensazione di impotenza delle donne nella società.
Alcune delle differenze di comunicazione sono il lessico ambiguo e prudente, le domande retoriche, l’intonazione crescente della voce, gli aggettivi superflui, gli avverbi per dare enfasi e le espressioni di estrema gentilezza. Il luogo di lavoro non fa eccezione a queste dinamiche linguistiche di genere. Le donne sono spinte ad adottare stili di comunicazione tradizionalmente identificati come maschili per essere percepite come professionali.
[…]
Il punto esclamativo è un'estensione del linguaggio parlato e la sua diffusione nelle comunicazioni digitali, siano esse email o testi, ha lo scopo di attrarre l’attenzione sul modo in cui parliamo e interagiamo di persona. Diversi studi hanno documentato un uso influenzato dal genere dei punti esclamativi nelle comunicazioni digitali, dove funzionano come marcatori di sincerità e cordialità accanto alla loro funzione pratica di indicare, appunto, un'esclamazione.
Questo segno di punteggiatura, apparentemente innocuo, si è infilato nell'intricata rete delle norme di genere e si può dire che anche lui sia espressione delle differenze di genere nel comportamento e negli stili di comunicazione.
Le donne sono intrappolate in un gioco di genere sulla punteggiatura. Uno studio del 2006, l'unica ricerca esistente a tutt'oggi su questo particolare argomento, aveva rilevato che quasi tre quarti di tutti i punti esclamativi nella corrispondenza online erano usati da donne.
I punti esclamativi non vengono ben visti per via del loro entusiasmo intrinseco, associato a una femminilità svampita e alla mancanza di professionalità. Il presupposto è che tutte le forme di comunicazione scritta, soprattutto in un contesto professionale, non debbano far trapelare emozioni.
Ma perché dovremmo abbandonare il punto esclamativo? Il nostro continuo uso di punti esclamativi entusiastici non potrebbe servire come forma di protesta? Chi ha deciso che l'entusiasmo non è professionale?
In mezzo a tante domande, una cosa è certa: io, quando scrivo le email di lavoro, le rileggo sempre un’ultima volta per rimuovere i punti esclamativi in eccesso (perché sì, mi piace usarli ma temo che — appunto — siano letti come “troppo entusiasmo”). Rimuovo anche gli “scusa” e i “purtroppo” superflui, che tendo a inserire con scioltezza tra le mie parole scritte. So che fanno la stessa cosa alcune delle colleghe a me più vicine.
E tu, che rapporto hai con i punti esclamativi e l’entusiasmo per iscritto?
Ne ho parlato con alcune persone della mia cerchia formata da uomini e donne cis di origini italiane, messicane, tedesche e statunitensi, ma non abbiamo trovato un punto comune. Il fatto è che non c’è solo il genere; anche la nostra lingua di origine e la nostra età sembrano influenzare l’uso dei punti esclamativi e la percezione che ne abbiamo.
Un punto che parla
Mi è sembrata una curiosa circostanza, una volta arrivata a Porto, trovarmi di fronte a un punto che si fa sentire ogni volta che lo si incontra per strada. Sono stata in questa città diverse volte nel corso degli anni, ma avevo dimenticato che il punto fermo è parte del branding cittadino:
Quel punto alla fine della parola ha un suono tutto suo, è una dichiarazione di personalità.
Lo vedi in giro per la città, nei parchi:
Nelle porte del metro e dei treni urbani:
E anche sulle auto della Polizia municipale (e sui caschi del personale in moto):
Lo Studio Eduardo Aires, che ha curato il rebranding di Porto nel 2014, ne parla così:
Porto è una città dalla forte personalità. Ha un atteggiamento riconoscibile, inconfondibilmente nostro. Per far convivere la sua rete di simboli identificativi, avevamo bisogno di un brand con un messaggio chiaro, che riassumesse la nostra identità.
Una sola parola era sufficiente. Una semplice affermazione, diretta, di chi siamo e cosa siamo. Nient'altro che Porto. La città è indiscutibile, imprescindibile, incomparabile.
È Porto.
Nella parola, nel punto finale, visualizziamo l'oralità della città. Come se l'atteggiamento di Porto aspettasse solo di essere rivelato. È la schietta affermazione di ciò che siamo.
(Il Portogallo ti interessa? Allora non puoi perderti
, la newsletter della giornalista Roberta Cavaglià che una volta a settimana ti porta in Spagna e Portogallo, senza bisogno di prendere l’aereo.)Letture e punteggiature
Da poco, nella sua
, Letizia Sechi si è occupata dei punti interrogativi:
Oltretutto, Letizia Sechi terrà un intervento insieme a Luca Rosati durante gli Accessibility Days, il 16 e 17 maggio, a Roma e in streaming: Scrivere chiaro e scrivere accessibile. Il testo fra Content Design e UX writing. Anche il resto degli interventi in programmi sembra molto promettente: da seguire!
Come si comportano gli screen reader quando incontrano segni di punteggiatura nel testo? Questo articolo di Eleven Ways lo spiega bene, aggiornando uno studio realizzato da Deque nel 2014.
Per questa settimana chiudo qui.
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Ok, è davvero tutto.
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
È uno studio con una prospettiva limitata al genere binario. Leggo nella descrizione della metodologia che il genere delle persone coinvolte nella ricerca è stato desunto dal nome proprio usato nel forum (😰).
Lo studio definisce “friendly” espressioni come saluti amichevoli in chiusura del messaggio, o parole di cordialità, disponibilità o simpatia espresse nel corpo del messaggio.
Lo studio definisce “facts” le dichiarazioni intenzionali di un fatto, a prescindere dalla loro correttezza o meno; opinioni dichiarate come fatti.
Nello studio sono indicate come “emotionality” le espressioni di ringraziamento effusive (es. grazie infinite!), la rabbia, l’ostilità, l’aggressività e il sarcasmo.
Numero super, Alice, come sempre! Mi chiedo, dato che la ricerca è del 2006, se la diffusione delle emoji abbia avuto un impatto su quest’uso della punteggiatura. Nella mia brevissima esperienza da editor di narrativa di fantascienza, e con autori praticamente solo maschi, italiani e americani, notavo in alcuni casi un’abbondanza di punti esclamativi nel parlato di certi personaggi, che creava un senso ridicolo non voluto: sembrava che parlassero con le sopracciglia perennemente alzate. Ma naturalmente da questo spaccato non posso tirare troppe somme. Grazie 🙏
Per rispondere a quanto chiedi nel sottotitolo, non mi sembra affatto una domanda strana! Da quando ho letto il libro di Leonardo Luccone "Questione di virgole: punteggiare rapido e accorto" ho una specie di ossessione per la punteggiatura, punti esclamativi compresi, quindi ho iniziato a farci caso e a cercare di usarli, se non altro, con intenzione.
Nella mia micro esperienza, che ovviamente è aneddotica e non ha pretese di generalizzare, mi è sembrato di notare che i maschi più giovani (diciamo sotto i 35 anni, tanto per mettere un numero) li usano con più disinvoltura, tanto che correggendo dei post di una community di cui faccio parte (dedicata a "cose" di fisica quantistica) mi sono trovata più volte a segnalare che cinque o sei punti esclamativi in un testo di otto brevi frasi forse rischiavano di essere un po' troppi.