#69 Stop killing pasta
Non uccidere la pasta (o la pizza): di culturalizzazione e del lavoro che c'è dietro la decostruzione di una storia unica.
Mentre scrivo questa newsletter Montse, la cui cucina dà al patio interno di fronte a una delle mie finestre, sta sbattendo le uova per la tortilla della domenica. Farà anche le croquetas, ha detto al fratello.
(Non sto origliando, ma la combo “specificità delle architetture condominiali”, “volume medio delle voci catalane” e “temperature miti da finestre aperte” genera questo tipo di intimità tra appartamenti vicini.)
Sento il suono di uova sbattute nella ciotola, poi quello dell’olio che sfrigola in padella, e ancora il profumo della cipolla che si ammorbidisce, l’impanatura che frigge.
Se mi chiedessero che forma ha per me, ora, il pranzo della domenica in casa, questi sono alcuni dei dettagli che mi verrebbero subito in mente.
Il 12 ottobre ho compiuto dodici anni di vita in Catalogna e, insieme a decine di altre sfumature identitarie, anche il mio immaginario del pranzo della domenica è cambiato.
Per usare un gergo del mondo della traduzione, potrei dire che parte del mio mondo è stato localizzato ed è passato attraverso un processo di culturalizzazione.
Culturali… che?
In questo periodo sto lavorando con una collega statunitense a un progetto di localizzazione e culturalizzazione per un cliente che distribuisce prodotti digitali in 200 Paesi.
Il nostro lavoro è scrivere delle linee guida che i team di content writer dell’azienda potranno consultare ogni volta che producono nuovi contenuti per il loro mercato di riferimento.
Detto in parole concise, ci facciamo un sacco di domande e le documentiamo nelle linee guida.
Non scriviamo istruzioni, non prescriviamo nulla; pensiamo piuttosto alle domande che sarebbe bene farsi prima di tradurre dei contenuti in lingue e culture diverse. La mia collega è esperta di culturalizzazione, mentre io mi sto occupando degli aspetti da considerare in chiave DEI (Diversity, Equity, Inclusion).
Come spiegava Roberta Cavaglià in questo articolo per TranslaStars, di cui ti traduco un passaggio:
La culturalizzazione è un aspetto fondamentale della localizzazione che implica non solo la traduzione dei contenuti ma anche una valutazione completa delle sue sfumature culturali. […]
La culturalizzazione proattiva prevede una pianificazione anticipata, che va oltre la semplice traduzione; è l'adattamento attivo dei contenuti per allinearli a valori e preferenze culturali specifici.
Questo approccio mira a creare un forte legame con il pubblico locale, come dimostrano i successi della localizzazione di contenuti in app, videogiochi e film.
Hai presente i film Pixar?
Per capire l’importanza del lavoro di culturalizzazione, pensa ai famosi film Pixar: diverse scene di Inside Out, Up!, Ratatouille, Alla ricerca di Dory o Toy Story sono state modificate per essere più vicine alla cultura dei Paesi di distribuzione.
Per esempio: Riley, protagonista bambina di Inside Out, mangia con riluttanza i broccoli nella versione originale, mentre in quella giapponese storce il naso di fronte ai peperoni verdi.
Pete Docter, direttore creativo di Pixar, spiegava il perché di questa scelta in una vecchia intervista su Slate:
Sappiamo che alcuni dei contenuti del film non avrebbero avuto senso in altri Paesi. Per esempio, in Giappone i broccoli non sono considerati una verdura disgustosa. I bambini li adorano.
Così abbiamo chiesto loro: 'Quale è il cibo più disgustoso per voi?'
Ci hanno risposto i peperoni verdi.
E continua:
Abbiamo proposto una versione alternativa con immagini di una partita di calcio invece che di hockey, dato che il calcio è molto più diffuso in diverse parti del mondo. Alcuni Paesi che amano il calcio hanno comunque deciso di tenere l'hockey, perché i personaggi del film vivono in Minnesota ed è logico che siano appassionati di hockey.
In questo video trovi dieci scene Pixar che sono state modificate durante il processo di culturalizzazione:
Questo tipo di lavoro mi diverte tantissimo. Unire la culturalizzazione alla DEI per me vuol dire guidare le persone a farsi domande su come gira il mondo, anche quello che non vedono o non vivono in prima persona.
Vuol dire contribuire a creare contenuti che parlano di donne e uomini, cis e trans, persone non binarie, persone razzializzate, persone con disabilità o con diverse origini socioeconomiche. Vuole dire parlare di famiglie nella concezione più ampia del termine: famiglie nucleari, monoparentali, allargate, miste, omogenitoriali, adottive, affidatarie, famiglie scelte, poliamorose, con o senza prole.
Vuol dire rompere il maleficio della storia unica di cui parlava Chimamanda Ngozi Adichie.
Rompere una storia, riderci su
Muerde la Pasta è una catena spagnola di buffet a base di pasta e altre ricette “a ispirazione italiana”. Non l’ho mai provata, ma ho trovato le immagini di una sua recente campagna e mi hanno fatto sorridere.
I copy giocano sul conosciuto cliché secondo cui la cultura italiana è fatta anche di suscettibilità gastronomica. Se te lo fossi perso, cerca l’account Italians Mad at Food su X o leggi questo articolo australiano che raccoglie strampalate reazioni di persone italiane di fronte alle rivisitazioni di ricette nostrane (qualsiasi cosa voglia dire, oggi, l’aggettivo nostrano). Memorabile divenne l’hashtag #StopKillingPasta.
L’invito di Muerde la Pasta è chiaro: prova tutti i piatti e combinali come vuoi, non c’è mica in palio la nazionalità italiana!
A nessuno importa la differenza tra rigatoni, fusilloni e fagottini quando puoi provarli tutti.
Qui vieni a godere, non a ottenere la nazionalità italiana. Gusta il nostro buffet combinando i piatti come ti pare.
E un saluto a chi continua a inorridire di fronte alle insalate di pasta col pollo o al cappuccino delle cinque del pomeriggio.
Curiosità da scoprire ✨
«Voi con queste gonnelline mi provocate». Per IrpiMedia, Roberta Cavaglià, Stefania Prandi e Francesca Candioli hanno pubblicato un’inchiesta sulle discriminazioni di genere e le molestie sessuali ricevute da studenti di scuole e master di giornalismo italiani.
Una volta, durante le vacanze di Natale, mi sono riguardata due intere stagioni della serie tv La Tata in lingua originale. Le scelte di adattamento culturale che avevano trasformato Fran Fine in Francesca Cacace mi avevano divertito così tanto che scrissi un articolo sulle differenze tra la versione originale di The Nanny e la versione doppiata in italiano.
Le registrazioni degli interventi del Festival DiParola sono disponibili! Con una donazione puoi finalmente (ri)ascoltarli e prendere un sacco di appunti - cosa che non vedo l’ora di fare!
Da vedere
Lost Boys & Fairies (James Kent, 2024) è una meravigliosa miniserie britannica prodotta dalla BBC. Racconta la storia d'amore e i conseguenti alti e bassi di Andy e Gabe, una coppia di uomini gay che decidono di adottare un bambino. Conoscono Jake, sette anni, e iniziano il lungo processo di adozione che li porterà a ripensare a molte questioni che hanno marcato la loro infanzia e la loro storia di coppia. Si parla anche dei legami con la lingua di origine (il gallese) e dei traumi che questa a volte si porta dietro. Che narrazione realistica, che dialoghi - cercala e dimmi cosa ne pensi!
Per questa settimana chiudo qui.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
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Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
quanto mi è piaciuto questo numero! interessantissimo! mi viene da pensare che anche nella distribuzione di sapere scientifico bisognerebbe calare le traduzioni dentro i contesti culturali. Sai già cosa penso del cappuccino dopo pranzo e del resto 😌
Addirittura due volte nella stessa newsletter, che onore! Anche a me la culturalizzazione piace da matti. E a proposito di matti, mi piace anche molto la lettura ben poco romantica che fa lo storico del cibo Alberto Grandi sul rapporto da un lato un po' malsano che abbiamo con il cibo in Italia (consiglio le sue interviste e il podcast DOI, Denominazione di Origine Inventata)