#88 Ignorate
Pure dopo la morte: bias di genere e linguaggi asimmetrici che si incontrano, come in vita, anche nei necrologi.
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In questo episodio:
Ho trovato un articolo sulla disparità di genere nei necrologi e mi è sembrato molto interessante.
Il “culto della vera femminilità” e i necrologi che rincaravano la dose.
Il New York Times poi ha deciso di aggiustare il tiro, era già il 2019.
Il report 2025 Sesso è Potere prodotto dalle persone tanto in gamba di onData e info.nodes
Gli originali epitaffi di due donne ai tempi dell’impero romano.
La relazione tra nuore e suocere nella newsletter di
Un dialogo da una serie tv che mi è piaciuta, “Non sono ancora morta”.
In copertina: i ritratti di tre donne ignorate dai necrologi del New York Times fino a poco tempo fa — Madhubala, attrice indiana di Bollywood che veniva paragonata a Marilyn Monroe; Marsha P. Johnson, attivista per i diritti delle persone trans e figura chiave nei moti di Stonewall; Sylvia Plath, poetessa e scrittrice statunitense.
Qualche settimana fa raccontavo su queste pagine di aver tradotto l’elegia di mia zia dall’inglese all’italiano.
Oltre che emotivo, quel lavoro è stato un momento intenso per riflettere sulle parole che le mie cugine hanno usato per descrivere loro madre e la sua vita. Non te le condividerò qui, ovviamente, ma ci ho ripensato pochi giorni fa quando mi sono imbattuta in un articolo di Erika J. Pribanic-Smith, docente di comunicazione alla University of Texas at Arlington: Inequality in life – and death: Newspaper obituaries have long discriminated against women (“Disuguaglianze nella vita e nella morte: i necrologi dei giornali hanno discriminato a lungo le donne”).
Pribanic-Smith prende come riferimento i giornali anglosassoni e la tradizione editoriale degli obituaries, gli articoli commemorativi per raccontare la vita, le passioni e l’eredità di una persona morta, non per forza nota al grande pubblico.
L’autrice osserva come, storicamente, i giornali abbiano confezionato in modo diseguale i necrologi per donne e uomini, sia a livello lessicale che formale:
Poco prima della Guerra Civile, nei primi anni di vita del New York Times, il numero di necrologi pubblicati dal giornale per donne e uomini era quasi uguale, secondo la storica Janice Hume. Tuttavia, il suo libro1 che esamina i necrologi dal 1818 al 1930 rileva che in quel periodo solo l'8% dei necrologi del New York Times rendeva omaggio alle donne.
Protagoniste dei necrologi del XIX secolo erano soprattutto uomini e donne bianche e di classe medio-alta. Le donne nere appartenenti ad altre classi sociali venivano segnalate solo se c’era da raccontarne il destino insolito o se avevano vissuto fino a un’età molto alta.
Il XIX secolo è stato l'apice di un ideale chiamato “culto della vera femminilità” […]. La cultura della media e alta borghesia statunitense apprezzava l'idea che uomini e donne abitassero sfere diverse, e quella delle donne doveva essere la casa. Il mondo degli affari e della politica era spesso dipinto come corrotto e la società assegnava alle donne il ruolo di custodire i valori morali in casa.
Questi ideali definivano le aspettative sul comportamento delle donne, di cui venivano enfatizzate la devozione, la purezza, la sottomissione e la cura domestica, e influenzavano il modo in cui venivano ritratte dai media. Le donne sentivano parlare di queste virtù in chiesa e ne leggevano sulle riviste.
Il linguaggio usato per descrivere le donne nei necrologi si allineava a questi ideali. L'analisi di Hume ha mostrato che i necrologi tendevano a descrivere le donne con aggettivi come “pie”, “virtuose”, “obbedienti”, “innocenti”, “utili” e “gentili”.
I necrologi identificavano le donne principalmente in base al loro legame con gli uomini: mariti, padri, figli e fratelli. Più tardi, nel XIX secolo, il necrologio di una donna poteva includere un elenco dei suoi successi pubblici, ma solo se questi non minacciavano la sua “vera femminilità”.
Doppi standard, anche da morte
Nella sua ricerca, Hume riporta che nel 1930 meno del 20% dei necrologi del New York Times e del Chicago Tribune avevano delle donne come protagoniste.
E le cose non sembrano essere cambiate tanto nel corso dei decenni.
Uno studio degli anni '70 presentava percentuali simili, mostrava che i necrologi sulle donne erano mediamente più corti di quelli degli uomini e più raramente includevano una foto della defunta.
In uno studio canadese del 2017, la ricercatrice Mary Colak ha scoperto che le parole scelte nei necrologi scritti dalle famiglie ripropongono un linguaggio più simile a quello del XIX secolo.
Mentre i necrologi degli uomini abbondano di parole legate alla sfera della competenza, dell’esperienza e del “successo”, quelli delle donne tergiversano su un lessico più sociale, costellato di aggettivi come “gentile”, “generoso” e “amorevole”.
In Italia la tradizione dei lunghi e appassionati necrologi non esiste se non in casi eccezionali, per personalità di spicco: i necrologi nostrani hanno uno stile asciutto e seguono formule convenzionali, come spiega questo articolo de Il Post.
Certo è che, se i giornali non provvedono, i social ne fanno le veci ed è sempre più frequente trovare lunghi articoli commemorativi di persone comuni dopo la loro morte. Sarebbe interessante analizzarli dal punto di vista lessicale e capire se quel doppio standard esiste anche nei nostri necrologi.
Aggiustare il tiro
Nel 2018, The New York Times ha fatto ammenda e riconosciuto il bias di genere e razziale che ha permeato per decenni la pagina degli obituaries. Scriveva l’editor William McDonald:
Perché la stragrande maggioranza dei soggetti dei nostri necrologi sono uomini bianchi? La risposta sta nella nostra storia, nemmeno la più remota.
A differenza delle altre redazioni, quella dei necrologi si occupa del passato, non del presente. Le nostre pagine rispecchiano il mondo del 1975, del 1965, del 1955 o anche prima: sono uno specchietto retrovisore che riflette il mondo com'era, non com'è e non come avremmo voluto che fosse.
Per questo siamo inevitabilmente indietro di una o tre generazioni nel seguire l'evoluzione delle dinamiche di genere e razziali. I principali artefici della società di allora, coloro che detenevano (e non mollavano facilmente) le leve del potere, erano in misura sproporzionata bianchi e maschi.
[...]
E perché non compaiono più donne e persone non bianche nelle pagine dei necrologi? (O, del resto, perché non persone apertamente omosessuali o trans)?
Perché a relativamente poche di loro è stato permesso di lasciare un segno nella società ai loro tempi. Le università possono averle espulse. Le aziende e i partiti politici potrebbero averle escluse. I tavoli del potere erano affollati di uomini bianchi; c'erano pochi posti per chiunque altro.
La risposta pratica del giornale si è articolata in due iniziative, raccontate dalla loro ideatrice Amy Padnani nel suo TEDTalk:
L’uso di uno strumento di analisi della diversità per garantire che almeno il 30% dei necrologi (obiettivo 2019) siano dedicati a donne.
Il lancio di Overlooked, una serie di necrologi di persone straordinarie la cui morte, a partire dal 1851, non è stata riportata dal NYT. La scrittrice Sylvia Plath, l'attivista e prostituta Marsha P. Johnson il cui nome sarà per sempre legato ai moti di Stonewall, la fotografa Diane Arbus, la scrittrice e voce del femminismo africano Mariama Bâ sono solo alcuni dei nomi di cui puoi andare a rileggere la storia.
Altre curiosità da scoprire ✨
È online la quarta edizione del report Sesso è Potere curato dall’associazione info.nodes e
. Il report, anche quest’anno, riporta una verità scoraggiante ma chiara: il potere in Italia è ancora saldamente nelle mani degli uomini. Riporto dalla newsletter di onData:128.093 posizioni di comando analizzate
Solo il 35% occupato da donne
Sindache: 15%.
CEO donne: 4%.
Direttrici di giornali: 6%.Nel caso servisse ribadirlo: non basta "avere più donne al comando" se le regole del gioco restano le stesse. Il vero nodo è chi ha accesso al potere e perché (e sì, anche come lo esercita).
A tale of two wives (and four husbands?) è un breve documentario in italiano che racconta la storia di Allia Potestas e Flavia Sophe, due donne fuori dall’ordinario secondo gli standard patriarcali dell’antica Roma. I loro epitaffi, conservati al Museo Nazionale Romano di Roma, sono forse scritti dai loro mariti e suggeriscono matrimoni non convenzionali e una libertà sessuale e relazionale insolita.
Tra le relazioni, reali e letterarie, più controverse e a volte stereotipate della nostra quotidianità familiare c’è quella tra nuore e suocere. Mi è piaciuto molto il modo in cui l’ha trattato Serena Blasi nell’episodio Suocere e nuore della sua newsletter. Inizia da queste domande: il rapporto tra suocera e nuora è un argomento femminista? Perché diventa spesso una relazione complicata? C’entra forse il patriarcato?
Not dead yet: una serie
C’è una simpatica serie tv che ruota intorno al mondo degli obituaries di un giornale statunitense: Not dead yet (in italiano “Non sono ancora morta”) protagonizzata da una delle mie cotte televisive, Gina Rodriguez.
Nell torna a vivere negli Stati Uniti con la vita rivoltata come un calzino: in dieci anni ha vissuto un’emigrazione, una separazione e il lutto per un aborto spontaneo. L’unico lavoro che riesce a trovare al rientro, pur mal pagato, è quello di redattrice di necrologi per un magazine: quello che non immagina, però, è che riuscirà a stabilire una connessione molto particolare con le persone defunte protagoniste dei suoi pezzi.
A proposito di bias nel raccontare le donne e i loro vissuti, l’episodio 8 della prima stagione mi è rimasto impresso: Nell conosce Marlene Quintrell, defunta attrice dalla vita turbolenta.
Qui il dialogo che mi ha emozionata:
Nell: Ho scritto l’introduzione del tuo necrologio e credo che lo adorerai.
Marlene: Fammi sentire!N.: “Mentre milioni di persone adoravano vedere la sexy Marlene Quintrell manipolare gli uomini di Middleton Falls, lei teneva il colpo di scena più succoso per la sua vita privata. Un giorno suo marito la sorprese a letto con la sua truccatrice e sua futura moglie.” Piccantino, eh?
M.: Credo che tu debba lavorarci ancora parecchio.
N.: Di che stai parlando? C’è tutto quello che hai sempre adorato — Suspense! Intrighi! Romanticismo![…]
M.: La mia vita non è una sciocca soap opera, per questo ho odiato quello che hai scritto. Quello che tu hai chiamato “il più succoso colpo di scena” è stata una delle cose più dolorose che abbia mai vissuto. Ho passato così tanti anni cercando di non deludere le aspettative che gli altri avevano su di me e ho sprecato tantissimo tempo a negare la vera me stessa. Sarei potuta stare più con mia moglie se un’amica mi avesse detto quello che mi serviva sentire, se solo mi avessero incoraggiata a manifestare la vera me stessa. Fingere di essere un’altra persona sullo schermo è una cosa, ma fingere nella vita reale è incredibilmente destabilizzante.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Obituaries in American Culture, Janice Hume, University Press of Mississippi, 2000.
Non ci avevo mai pensato, grazie per avermi aperto un nuovo punto di incazzatura per la disparità! 😗
Che emozione ritrovarmi nel filo dei tuoi ragionamenti, grazie Alice!
(La serie che citi mi incuriosisce molto, me la cerco).