#65 Cercare le parole che non esistono
Abbiamo poche parole precise per parlare di amore, ma troppe per dichiararci inclusivi e accessibili anche quando non è vero.
Questo episodio di Ojalá sarebbe arrivato la settimana scorsa se non mi fossi imbattuta in Unaccustomed Earth, raccolta di racconti di Jhumpa Lahiri con cui ho avuto un intenso affaire, di quelli che mangiano il tempo e occupano bramosamente i pensieri.
Era da tanto che non incontravo una nuova (per me) autrice capace di disegnare personaggi così pieni nella loro normalità e, come molte di noi, in bilico tra confini, frontiere e limiti da esplorare. Questa raccolta si muove sul filo del racconto migratorio tra l’India e gli Stati Uniti; tocca anche l’Italia, dove Lahiri si è trasferita anni fa adottando l’italiano come nuova lingua per la sua voce di scrittrice.
In ogni racconto di Unaccustomed Earth arriva il momento in cui si affaccia, stridente o soave, la paura che attanaglia il corpo e la mente quando si prospetta un cambiamento, sia esso desiderato o forzato.
Hai presente? Se me lo vuoi raccontare, la mia casella email è aperta (alla fine della newsletter ti dico come scrivermi).
In realtà volevo iniziare Ojalá #65 parlando di un’altra scrittrice, avevo anche già scritto le prime righe. Ripensandoci ora, con questo incipit diverso dedicato a Lahiri, credo che il senso di quello che volevo dire rimanga; tutte le parole che citerò a breve si dispiegano — tutte, davvero — nei racconti di Unaccustomed Earth.
Quante parole abbiamo per parlare d’amore?
In un episodio di luglio della sua newsletter (ora sparito dietro le quinte del paywall) intitolato Why Do We Have So Many Words For Coffee.... But So Few For Love?, la scrittrice turca Elif Shafak si chiede perché abbiamo così tante parole per parlare di caffè ma non altrettante per descrivere l’amore.
Espresso, lungo, ristretto, macchiato, cappuccino, doppio, americano, affogato — e di sicuro ne dimentico tanti, cercando anche di non inserire come mio solito parole itagnole che parlano di caffè (sólo, cortado, carajillo, con leche, bombón).
Quindi traduco le parole di Elif Shafak:
Perché abbiamo un vocabolario così ampio per una bevanda torrefatta e uno incredibilmente limitato per qualcosa di così potente, universale e complesso come l'amore?
Gli antichi greci avrebbero riso di noi. Avevano otto parole diverse per descrivere l'amore. (L'arabo ne ha undici, il turco solo due).
Eros, dal nome del dio greco della fertilità, del sesso e del desiderio, è usato principalmente per descrivere l'amore romantico e passionale.
Philia, la speciale affinità e l’affetto che esiste tra persone amiche.
Pragma, la compagnia e l’amore duraturo che emergono nelle unioni a lungo termine.
Agape, l’amore incondizionato e disinteressato per tutta l'umanità. Empatia verso le altre persone, comprese quelle sconosciute. Ci aiuta a capire che siamo tutti abitanti dell'umanità.
Storge, quel tipo particolare di amore che si prova per le persone della propria famiglia.
Mania, un'emozione ossessiva e distorta che porta all’estrema possessività e alla gelosia.
Ludus, una forma di amore giocoso. Flirt e scambi di tenerezze, l'inizio di una relazione romantica.
Filautia, l'amore per se stessi, importantissimo, che può essere buono o cattivo. Nella sua forma migliore aiuta a costruire l'autocompassione e la saggezza, nella sua forma peggiore sfocia nel narcisismo.
Queste otto parole dell’amore in greco antico hanno fatto sussultare di piacere le mie sinapsi, felici di ritrovare informazioni seppellite sotto anni di vita altra e ormai ben poco classica.
Mi hanno anche fatta dubitare, soprattutto mentre traducevo le definizioni di Shafak. Perché, vocaboli a parte, anche trovare le parole per definire i tipi di amore è difficile.
Domande tradotte
Per esempio, per la parola pragma, Shafak dice che si tratta del “companionship and enduring love, emerges in long-term marriages”.
Quel marriages riporta subito all’istituzione del matrimonio ma per fortuna posso scegliere una traduzione più generica e neutra, comunque corretta: unione.
Perché siamo tuttə d’accordo che non c’è bisogno di una firma in comune o in chiesa per cementare un amore a lungo termine, no? Ok.
Credo anche che l’autrice qui abbia un po’ romanticizzato un concetto che, per noi persone che parliamo italiano, è semplice associare alla parola pragmatica.
L’amore pragmatico è sì compagnia a lungo termine, ma anche ragione, interesse, convenienza; può essere qualcosa di calcolato, come nelle unioni di facciata o nei matrimoni combinati, o una razionalità che si stabilizza con il tempo, quando la vita e le sue altalene ricordano che la materia dell’amore cambia con gli anni e può prendersi, serenamente o meno, lo spazio che un tempo era di ludos ed eros.
E come parliamo di amore in italiano?
Quante parole in italiano abbiamo per parlare, oggi, di amore, mi sono chiesta. Provo a rispondere ora, in maniera estemporanea mentre scrivo, senza fare troppe ricerche.
Amore è di solito la parola chiave che poi, grazie a un aggettivo, assume uno specifico significato.
Amore romantico. Amore passionale. Amore familiare. Amore amicale. Amore universale. Amore materno. Amore paterno. Amore fraterno. Amore platonico. Amore corrisposto. Amore non corrisposto.
C’è poi l’affetto, sentimento che associamo di solito a certe relazioni amicali, platoniche, tra persone di famiglia (di sangue o di elezione), del vicinato o sul lavoro, se abbiamo particolare fortuna.
(Ho googlato “amore o affetto” e mi si è srotolata davanti una caterva di articoli che definiscono i due sentimenti, dove l’amore è al di sopra di tutto e l’affetto è relegato agli amori una volta passionali e ormai sbiaditi, alle amicizie canoniche o alle persone della “famiglia tradizionale”. Quanta semplificazione, non trovi?)
C’è poi l’amicizia, una parola che può descrivere un’infinità di relazioni e sentimenti umani nel corso della nostra esperienza di vita onlife. E che spesso, anche lei, viene relegata a un gradino inferiore rispetto all’amore.
Facendo lo stesso ragionamento in spagnolo mi vengono in mente amor, cariño e amistad.
Solo questi tre termini: sbaglio? Te ne vengono in mente altri?
Io aggiungerei, per esempio, sorellanza, il sentimento su cui si fonda la mia relazione con alcune donne della mia vita. Quelle con cui condivido molti pensieri, ideali e vissuti.
In ogni caso mi chiedo: è forse più difficile dare voce alle sfaccettature e ai modi di vivere l’amore, quando le parole per parlarne sono così poche e gerarchizzate o le dobbiamo affiancare ad aggettivi che specifichino la sfumatura del sentimento?
Parole che non esistono
Di queste, ma anche di tante altre parole assenti, parla Elena Panciera nel suo intervento al TEDx Policoro 2023:
Ti piacciono i progetti che cercano le parole che ancora non esistono? Allora:
Oppure puoi leggere l’intervista che
mi ha fatto per la sua bella newsletter : parliamo del mio lavoro con la scrittura, e soprattutto del modo in cui lo affronto, delle mie piccole abitudini e degli strumenti che mi aiutano di più.Ah, ho scritto anche di come, a volte, sia difficile trovare le parole giuste in italiano quando la tua mente parla una lingua sbilenca, un itagnolo incrostato di molti prestiti linguistici:
Letture che colmano assenze
I giovani uomini sembrano essere clamorosamente assenti dal canone contemporaneo di scrittori (uomini) che scrivono di sesso e intimità, dice questo articolo di Esquire intitolato Where is all the sad boy literature?
Sei d’accordo? Io ammetto di cadere un po’ dal pero perché da qualche anno preferisco colmare le mie lacune letterarie leggendo soprattuto scrittrici donne o scrittorə queer.A proposito di letteratura e grandi scrittrici, una di quelle che ho scoperto tardi è Goliarda Sapienza. In un bell’articolo per Il Tascabile, l’antropologa e scrittrice Veronica Pacini esplora la figura letteraria di Sapienza e la sua critica delle aspettative di genere e della sottomissione delle donne nella società: Donnette. La ribellione ai generi di Goliarda Sapienza.
per averlo condiviso nella sua newsletter .)
(Grazie aDo you want us here or not, ci volete qui o no, si chiedono le panchine e le sedie azzurre dell’artista Finnegan Shannon. Piazzate in musei e gallerie d’arte, ricordano quanto il disegno di spazi inclusivi e accessibili passi anche dai posti a sedere. Che invece spesso mancano o scarseggiano.
Ecco un bell’articolo sul lavoro di Shannon pubblicato da It’s nice that.
Finnegan Shannon è anche l’artista, insieme a Bojana Coklyat, dietro al progetto digitale Alt-Text as Poetry, i testi alternativi come poesia 😍
Scorri il sito web per apprezzare tutti i modi in cui i testi alternativi alle immagini che carichiamo sul web possono diventare testi ricchi di sfaccettature ed emozioni.
Di testi alternativi e come iniziare a scriverli ho parlato in vecchi episodi di Ojalá, tipo questo:D’altronde da una che nella bio di LinkedIn si descrive anche come alt-text writer — sì, io — cosa ti aspettavi?
Un libro che ti consiglio
Ilaria Crippi, attivista disabile e lesbica, ha scritto Lo spazio non è neutro (Tamu, 2024) per riflettere sull’accessibilità del nostro mondo, sì, ma anche per smontare qualche convinzione: tipo che, in teoria, la disabilità è un tema che non divide ma nella pratica si razzola molto male.
Hai mai sentito persone affermare con decisione che i diritti delle persone con disabilità non sono necessari, come succede invece per diritti civili destinati ad altri gruppi minorizzati (es. 🏳️🌈)? Per esempio, nessunə si sognerebbe — sempre in teoria — di esprimersi a voce alta contro il diritto alle cure e all’assistenza delle persone con disabilità.
Eppure la pratica del mondo in cui viviamo rivela realtà molto diverse: tantissimi degli spazi che abitiamo, i locali, gli hotel, certi uffici pubblici, le spiagge, i centri sociali, sono inaccessibili. Sì, anche quando si proclamano inclusivi. E non solo in termini architettonici. Perché sembrano rispettare le norme, ma lo fanno più per consegnare il compito a casa che per reale consapevolezza della sua utilità e del pubblico che ne beneficerà.
Il messaggio che passa, dice Crippi, è che l’esclusione delle persone disabili è un fatto normale, insito nel nostro modo di vivere le città, ma che non solleva nessun «senso di emergenza».
A pagina 71 c’è un passaggio che spiega bene questa contraddizione tra le intenzioni di facciata e i fatti.
Crippi parla della differenza tra il prendersi davvero cura delle necessità delle persone e l’attenzione disattenta, quella che in qualche modo ci fa sentire a posto con la coscienza e con le normative:
Alla luce di questo unanime profluvio di bontà, non si spiega come mai le strade non siano cosparse di rampe e percorsi tattili e lo studio della Lis non sia obbligatorio dalla scuola materna.
Titchkosky ha fatto notare che a essere ordinario non è, in realtà, un vero caring (cioè un prendersi cura, un interessarsi al problema), bensì un careless caring, un’attenzione disattenta.
Gesti come quello di mettere il simbolo dell’accessibilità sulla porta di un bagno che in realtà è troppo stretta, o di alzare la voce quando si parla a una persona completamente sorda, sono esempi di careless caring.
«Questo tipo di interazioni sembra ignorare la particolarità di una menomazione, focalizzandosi sul fatto che si dovrebbe fare qualcosa di fronte alla disabilità».
Qualcosa, qualsiasi cosa sia utile a rappresentarci come inclusive, al di là del fatto che serva o meno. Spesso accade in buona fede, per semplice mancanza di conoscenza: la via per l’inaccessibilità è lastricata di buone intenzioni, oltre che di ghiaia e di pavé sconnesso.
Insomma, io te lo consiglio caldamente. 🌈
Ci vediamo in autunno?
Il 3 e 4 ottobre sarò a L’Aquila per la seconda edizione del Festival DiParola, un evento democratico e aperto a chiunque voglia conversare di linguaggi chiari e accessibili. Sono parte della squadra organizzatrice insieme a Valentina Di Michele, Giorgia Aurelio, Andrea Fiacchi, Elena Panciera, Letizia Sechi, Roberta Zantedeschi e a tante altre persone che hanno deciso di collaborare alla realizzazione dell’evento. Le iscrizioni sono aperte e partecipare è gratis, sia per chi lo seguirà online (ci sarà lo streaming!) che dal vivo a L’Aquila.
Il 5 ottobre sarò a Bologna per il convegno che celebra i 20 anni di TradInFo - Associazione di traduttori e interpreti: parlerò di scrittura inclusiva e accessibile come strumento di democratizzazione del web. L’iscrizione è gratuita e ci si registra qui.
Lo anticipo solo qui per il momento: il 9 ottobre parlerò per la prima volta al WordPress Accessibility Day, una maratona online di interventi sull’accessibilità web tenuti da persone di tutto il mondo. L’iscrizione è gratuita, puoi scorrere il ricchissimo programma sul sito.
Per questa settimana chiudo qui.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
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Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Grazie Alice per questo vocabolario amoroso e per avere mostrato le porte che si aprono tra le lingue.
Il pezzo del libro di Ilaria Crippi racconta benissimo l'accessibilità di facciata con cui si travestono molto spesso le cose; non appena scendo dal treno, entro in libreria a prenderlo.
La mia difficoltà, da emigrata di fresco e con una lingua ancora da apprendere bene, è quella di non trovare un modo così chiaro come quello che abbiamo in Italia di distinguere tra "Ti voglio bene" e "Ti amo".
In spagnolo, per esempio...