#73 La superficialità del "tutte"
Di prevenzione che non funziona per tutte e dell'abilismo sistemico che marca la differenza tra chi è presa in considerazione e chi è esclusa di default.
Lunedì scorso sono andata a fare la mammografia e, come al solito, non è stato piacevole.
Se hai già fatto questo esame diagnostico sai benissimo di cosa parlo.
Se invece non sai cos’è una mammografia, parto con la definizione di AIRC, l’associazione italiana per la ricerca contro il cancro:
La mammografia è un esame fondamentale per la diagnosi precoce del tumore della mammella poiché permette di identificare lesioni di piccole dimensioni ed è un quindi un’arma importante per intervenire nelle fasi iniziali della malattia.
Nel caso non avessi mai fatto questo esame, lo scenario è questo:
entri in una saletta dove troneggia un alto macchinario formato da due piastre magnetiche che fotograferanno a raggi X le tue mammelle.
Perché la radiografia riesca bene è importante che la mammella sia posizionata correttamente.
La persona incaricata della radiografia ti aiuta a sistemarti nel modo giusto: prende la mammella destra, la appoggia sulla piastra, ti chiede di afferrarti con la mano destra alla maniglia del macchinario.
Poi lo attiva.
Le due piastre si abbassano e comprimono gradualmente la mammella. E la comprimono tanto.
A seconda della tua sensibilità e della tipologia di mammella che ti ritrovi, questa compressione di pochi secondi può essere più o meno dolorosa.
(Io sono una di quelle persone che propende per il “più”.)
Mentre stai in piedi con la mammella compressa tra le due piastre automatiche, il macchinario scatta la prima foto.
Le piastre allentano la presa e ti liberano.
Respiri.
Ok, questa era la radiografia frontale della mammella destra; il procedimento va ripetuto altre tre volte: prima la stessa mammella destra viene compressa e fotografata anche lateralmente, poi si passa alle due compressioni e radiografie della mammella sinistra.
Il tutto dura diversi minuti ma il quanto esatto dipende da te — riesci a stare immobile in questa posizione? sopporti il fastidio? — ma anche dalla perizia della persona che ti assiste e dalla qualità delle radiografie che riuscirà a fare.
Ogni volta esco da questo esame con la voglia di piangere, il fastidio mi rimane incollato addosso anche nell’ora successiva. La settimana scorsa l’esame è stato più lungo del solito e ho sofferto abbastanza, mi è servita qualche ora per sentirmi meglio.

Comunque vada, c’è una cosa che penso sempre mentre ho la mammella compressa e trattengo gli improperi: com’è possibile che nel 2024 non esista ancora un macchinario che riesca ad analizzarci le tette in modo altrettanto efficiente ma più comodo, accessibile e meno fastidioso?
Cerco informazioni sul web, sono curiosa di capire se la mia domanda è condivisa, quante siamo a provare fastidio e disagio quando ci rechiamo a fare la mammografia.
D’altronde, lo dicono anche l’AIRC e le associazioni di prevenzione simili sparse per il globo, si tratta di un esame fondamentale, che interessa milioni di donne.
Un esame fondamentale e “per tutte”, vero?
In Italia, leggo sempre sul sito di AIRC,
la mammografia […] è raccomandata e offerta gratuitamente in Italia a tutte le donne nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni. Alcune Regioni, su indicazione del Ministero della Salute, la stanno estendendo alle donne tra i 45 e 49 anni con intervallo annuale e tra i 70 e 74 anni con intervallo biennale.
Da buona millennial, mi lamento nelle storie di Instagram. Diverse persone mi rispondono, condividono la sensazione, non sono sola.
Mi scrive anche Tiziana Masoch:
Io invece mi chiedo come mai non ho ancora trovato un posto con un macchinario accessibile a me, in carrozzina e senza controllo del tronco. Finora ho potuto fare solo ecografie [mammarie].
L’accessibilità: il motivo in più per pensare a un macchinario diverso e più universale.
La maggior parte dei mammografi sono infatti pensati per persone che possono mantenere la posizione eretta, e rendono quindi impossibile o complicata l’esecuzione dell’esame da parte di chi si sposta in sedia a rotelle o ha una muscolatura molto debole.
Proprio qualche mese fa ne ha scritto sul Corriere Stefania Delendati, direttrice di Superando, che ha raccontato la sua esperienza con la prevenzione sanitaria inaccessibile e ha intervistato Luisa Bosisio Fazzi, unica rappresentante italiana del Gruppo Donne del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF):
Una donna con disabilità che deve sottoporsi a una mammografia (ma il discorso vale per qualunque screening per i tumori femminili) non riesce nella maggior parte dei casi ad accedere agli strumenti diagnostici perché sono inaccessibili.
In Europa, la percentuale di donne con gravi disabilità e limitazioni funzionali che non hanno mai eseguito un esame radiografico del seno è del 3% più alta rispetto alle donne senza disabilità; i tassi più bassi si osservano tra le donne con difficoltà nello svolgere attività di cura di sé e con problemi di mobilità.
Non vanno dimenticate le donne con problemi di udito, visivi e con difficoltà di concentrazione che non hanno mai eseguito una mammografia, e qui si torna al discorso delle barriere comunicative e della mancanza di formazione del personale sanitario.
Io stessa non ho mai eseguito una mammografia, posso soltanto fare un’ecografia al seno ma se è disponibile il servizio territoriale a domicilio, perché come già detto gli ambulatori e le apparecchiature non sono fruibili come dovrebbero.
Come me tante amiche con disabilità e chissà quante altre che non conosco, visto che le donne con disabilità rappresentano il 25% della popolazione femminile italiana.
Leggo queste testimonianze e i dati che segnano una linea netta di disparità di trattamento nell’accesso alla sanità. E penso al linguaggio della prevenzione del tumore al seno, a come spesso indugi in espressioni come “esame fondamentale per tutte le donne” o “prevenzione per tutte le donne”.
Quel tutte è l’obiettivo desiderato, eppure lo stesso sistema sa di non poterlo raggiungere.
Tutto, ricorda il dizionario Treccani, indica «l’intera quantità, l’intero numero, il pieno complesso, senza esclusione di alcuna parte o di alcuni elementi dell’insieme».
Chi c’è nel nostro tutto? A quale parte del mondo si riferisce il nostro tutto?
Quali donne sono davvero rappresentate dai caldi inviti a svolgere gli esami di screening del tumore al seno?
Della sua esperienza con la mammografia scrive anche Luisa Noja, avvocata e consigliera in regione Lombardia:
Venerdì sono andata a fare la mammografia. […] Come sempre la fatica di posizionarsi correttamente davanti alla macchina, le braccia tirate, le spalle contorte, lo sforzo di abbarbicarsi a un oggetto progettato senza tenere in minima considerazione milioni di donne che, come me, non possono stare in piedi, che non riescono a tenere una postura standard, che hanno una muscolatura più debole.
Insomma che sono diverse dal modello di femmina che i designer hanno in testa, ma che non sono immuni dal cancro, che hanno bisogno di sottoporsi a esami diagnostici periodici e che si ammalano esattamente come le altre.
[…] Non è giusto che io e milioni di donne dobbiamo subire questa umiliazione per avere accesso alle cure e alla prevenzione.
Perché c’è una parte della mia disabilità che dipende da una malattia rara e quella parte non è colpa di nessuno, ci ho fatto i conti da tempo, ma c’è un altro pezzo che sarebbe evitabile e deriva solo dalla totale incapacità di costruire un mondo a misura di tutti e tutte.
Perché siamo resilienti ma, così come esiste l’accumulo nell’uso dei farmaci, esiste anche l’accumulo nella fatica e nella frustrazione quotidiana. Perché la discriminazione abilista non è fatta solo di fatti violenti o episodi eclatanti.
Molto più spesso è il frutto di un’attitudine verso il mondo che espelle dalla realtà un pezzo di umanità, senza nemmeno rendersene conto.
Ti piace scoprire campagne di marketing, iniziative e letture originali che parlano di inclusione e accessibilità digitale? Ojalá è nata per questo:
📖 A proposito di
Lene Andersen e Natasha Batchelor hanno scritto per il Journal of Medical Imaging and Radiation Sciences un interessante paper con delle proposte pratiche per rendere la mammografia accessibile alle pazienti con disabilità (e non solo quelle con disabilità motoria).
Il mese scorso, durante il mese della prevenzione del cancro al seno,
ha scritto di fiocchetti rosa, mercificazione della malattia e del grosso problema del pinkwashing.A inizio ottobre, sempre Paola aveva ospitato Tiziana Masoch nella sua newsletter: insieme avevano parlato delle parole per parlare di disabilità, “invalidità” e abilismo interiorizzato.
Grazie ai finanziamenti del sistema sanitario inglese, a inizio anno è nata REFRAME, l’iniziativa che vuole raccogliere immagini digitali di patologie su persone con un'ampia gamma di tonalità di pelle. Ti sembra strano? Eppure, ancora al giorno d’oggi, chi lavora in ambito sanitario studia e consulta testi dove le patologie sono rappresentate soprattutto su persone bianche.
Fabrizio Acanfora ha scritto un nuovo libro, L’errore: Storia anomala della normalità, e doveva presentarlo sabato scorso al Bookcity di Milano in un incontro con Valentina Tomirotti e Irene Facheris.
Peccato che la sede dell’incontro fosse inaccessibile, raggiungibile solo salendo una lunga serie di gradini. Valentina Tomirotti si muove in sedia a rotelle e non sarebbe potuta arrivare sul palco, per cui anche Fabrizio Acanfora e Irene Facheris si sono rifiutati di seguire con l’evento e la presentazione è stata annullata.
Scrive Tomirotti:Organizzare un evento pubblico in uno spazio inaccessibile è già di per sé una discriminazione. Ma farlo per presentare un libro che denuncia proprio i meccanismi di esclusione della “normalità” è un paradosso crudele, uno schiaffo a tutte le persone con disabilità.
[…]
BookCity Milano, una manifestazione che dovrebbe celebrare la cultura, si è dimostrata discriminatoria in ogni fase del processo. Nessuna attenzione alla fruibilità degli eventi:
• Nessuna LIS,
• Nessun sottotitolo,
• Barriere architettoniche ben presenti.
E poi, la toppa peggiore del buco: scuse frettolose e abiliste che confermano il modello sistematico del nostro Paese. Non veniamo previsti come persone. Quando scoppiamo a protestare, ci viene chiesto di accettare scuse generiche. E magari, alla fine, ci fanno sentire colpevoli di essere un “peso”.
Milano, capitale della cultura? Dell’inclusione? Solo a parole. Ancora una volta, l’accessibilità viene trattata come un’opzione, non come un diritto.
Ma per chi vive l’esclusione, l’accessibilità è la differenza tra partecipare e restare fuori.
Le parole non bastano più. Le policy scritte bene non bastano più. Quanta rabbia, quanta frustrazione, nei confronti di questa inclusione che fa tanto cool ma che nella pratica non esiste.
Per questa settimana chiudo qui.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
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Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Ciao Alice, grazie per questa attenzione sulla mammografia: anche io soffro tantissimo ogni volta che mi sottopongo all'esame. Ti segnalo questa start-up che sta provando a trovare un'alternativa (in realtà per il momento una tecnologia aggiuntiva) alla mammografia. Un esame attraverso il proprio smartphone che potrebbe aiutare nella prevenzione: https://www.hopevalleyai.com/
Questa puntata arriva dritto al petto e scava un buco. Grazie per averla scritta.
La mia prima mammografia, quella che ha confermato il mio carcinoma mammario, è stata molto dolorosa. Fisicamente ed emotivamente. Aver trovato un'infermiera dolcissima e gentilissima mi ha aiutata molto. Ne ho fatta un'altra due mesi dopo l'intervento, e ha fatto, se possibile, ancora più male, perché il mio seno non si era (è) ancora ripreso dai tagli del chirurgo.
Io che penso sempre a quanto accessibili siano strumenti ed esperienze, non mi sono mai posta il problema di questo macchinario assolutamente inaccessibile per tante donne. Un po' me ne vergogno, ma meno male che poi leggo, rifletto, imparo.
Grazie ❤️e grazie anche per aver citato la mia newsletterina.