#94 Quell'idea esotica di paradiso
Le parole per raccontare la Sardegna, così come tanti altri magnifici territori "di periferia", senza esotismi né idealizzazioni.
L’ultima volta abbiamo fatto un viaggio lessicale tra le culture delle persone romanì, in Italia e Spagna.
In questo episodio:
C’erano una volta Whoopi Goldberg e la sua idea che in Sardegna le persone vivono a lungo perché non si stressano, mangiano bene e respirano aria buona.
Domina ancora, e chissà per quanto, l’idillio dipinto dall’esterno; ma la realtà dietro le parole sognanti è molto meno paradisiaca.
L’hanno spiegato bene Luana Elena Cau a Fàulas 2024 ed Eleonora Sacco a DiParola 2024.
Ne sapeva qualcosa anche l’antropologo Giulio Angioni, che ha romanzato tutto nella meraviglia di libro che è Assandira.
La menzione speciale di oggi è per Sa Die de sa Sardigna, la giornata del popolo Sardo, e la narrazione festosa che stanno promuovendo le persone dell’Assemblea Natzionale Sarda.
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Se hai qualche connessione con la Sardegna, forse non ti è sfuggito il siparietto dello scorso novembre in cui l’attrice statunitense Whoopi Goldberg, ospite del talk show di Jimmy Fallon, racconta quanto bene si vive sull’isola.
Se te lo sei perso e non riesci a vedere ora il video che ti ho linkato, te lo riassumo. Da qualche anno, Goldberg ha comprato casa nel paese di Stintino, nome che di solito riporta a questa meraviglia qui:

Durante il siparietto Fallon chiede a Goldberg: ma la Sardegna è proprio quel posto in cui c’è la Blue Zone e le persone vivono “per sempre”?
Sì, sì, conferma lei, e scherza sul fatto di avere in realtà 206 anni.
E perché credi che le persone vivano più a lungo, nella tua zona?, continua Fallon.
(Soprassiedo su quell’aggettivo possessivo e sul fatto che sia anche geograficamente erroneo: Goldberg vive nel nord ovest dell’isola, mentre la cosiddetta Blue Zone si trova da tutt’altra parte, tra la Barbagia e l’Ogliastra.)
Risponde Goldberg:
Perché loro non hanno a che fare con così tante stronzate.
Noi [le persone negli USA] siamo stressate, non sempre sappiamo perché ma si vede anche solo guardandoci camminare per strada, le persone hanno le mani strette a pugno […]. Penso che quando puoi camminare all’aria aperta, e non ci sono schifezze nell’aria che respiri né nel cibo che mangi, … ecco i nostri modi [USA] di fare le cose non sempre sono i migliori.
Complice l’acriticità mediatica che fa gioire molti giornali e tv locali ogni volta che una persona famosa parla bene dell’isola — non importa poi tanto cosa dica davvero —, il video ha rimbalzato tra commenti divertiti e orgogliosi.
Meno si è commentato, invece, quell’immaginario falsato della vita in Sardegna dipinto dall’attrice: le persone sarde che non si fanno sopraffare dalle stronzate e dallo stress, che passeggiano per sentieri all’aria aperta e mangiano solo cibo sano. Mi aspettavo che da un momento all’altro coronasse l’idillio con quel già sentito “hanno poco eppure sorridono sempre!”, ma per fortuna no, non si è spinta così lontano.
Siparietto a parte, inusuale forse per il fatto di sentirlo declinato in inglese da due vip statunitensi, ascoltare quelle parole mi ha ricordato per l’ennesima volta quanto sia facile esotizzare l’isola. E quanto sia facile crederci, a quella storia che racconta la Sardegna come un paradiso in terra, da cui non si capisce perché le persone dovrebbero mai desiderare di andarsene.
Lo sguardo esterno che proietta l’idillio
D’altronde, una delle domande che mi è stata fatta più spesso nei miei anni da emigrata nel Nord Italia è proprio: “ma cosa ci fai qui, se sei nata in un posto così bello?”. Di solito accompagnata dall’onnipresente, e vagamente saccente, affermazione secondo cui la Sardegna potrebbe vivere di turismo.
Perché se c’è una cosa che caratterizza l’esotizzazione di un luogo considerato “periferia” rispetto a un centro (politico, economico, culturale), è lo sguardo esterno con cui viene etichettato e definito.
Uno sguardo che non osserva davvero, ma proietta ciò che vuole trovare. Pensa ai topici più in voga per parlare di Sardegna: il mare cristallino, le spiagge bianchissime, la sabbia dorata, i paesaggi selvaggi, l’ospitalità, la storia ancestrale, la natura incontaminata. (Tutto qui? Tutto vero?)
A questa narrazione, però, si affianca anche una pratica ben diversa: sfruttamento delle risorse, svendita del patrimonio e un'idea di “sviluppo” turistico che non necessariamente porta benessere a chi vive nei territori. In Sardegna ne sono prova un mercato del lavoro dominato da impieghi stagionali e sottopagati, l’impatto ambientale devastante di decenni di estrattivismo, la presenza delle basi militari con le loro detonanti esercitazioni, e una ricchezza turistica concentrata in pochissime mani.
Delle parole con cui si perpetuano i cliché sulla Sardegna e sulle persone che ci vivono e ne emigrano, avevo parlato due anni e mezzo fa in questo episodio di Ojalá (ho tolto il paywall, lo puoi leggere per intero anche se è del 2022):
Ai tempi della mia emigrazione al nord avevo molte meno risorse di oggi; quanto mi sarebbe piaciuto rispondere alle saccenze e ai cliché sulla Sardegna paradisiaca come fa Luana Elena Cau in questo intenso e documentato intervento a Fàulas 2024!
Le parole vuote dell’esotismo
Nel suo bellissimo intervento al DiParola Festival 2024, "Per un esotico senza cliché", Eleonora Sacco affronta un tema molto caro a questa newsletter:
Che significati racchiude un luogo autentico, sperduto in una landa desolata, magari lontano dalla civilizzazione, abitato da tribù primitive?
Nel linguaggio etnografico i luoghi comuni rinforzano gerarchie culturali, pregiudizi e una visione del mondo coloniale. Sono i toponimi precisi, le pronunce accurate e il lessico delle culture locali a disegnare mappe geografiche nitide, accessibili, che abbracciano la complessità.
C’è un passaggio in cui Eleonora (la chiamo solo per nome per ragioni affettive, siamo amiche da dieci anni!) sottolinea la differenza tra esotico ed esotismo: se esotico è un termine di per sé neutro, che significa solo “relativo a ciò che sta fuori, che viene da fuori” — dice —, esotismo comprende i cliché, il voyeurismo per il bizzarro, ed è intriso di sguardo occidentale.
Cito da una slide del suo intervento (puoi vedere la registrazione solo se l’anno scorso hai comprato un biglietto per il festival DiParola, per questo non inserisco link qui):
È Lévi-Strauss (1962) che tra i primi prende le distanze dall’esotismo, cioè la creazione di popoli marginalizzati, deumanizzati e oggettificati per compiacere lo sguardo turistico, o visti come forme primitive del moderno.
Questo vale per l’antropologia come per il turismo, quando presuppone che ci siano culture più primitive o meno sviluppate di altre, sia in una linea temporale che sociale.
Quali sono allora queste parole vuote dell’esotismo?, chiede Eleonora:
Tradizionale, autentico, genuino, incontaminato.
Tutte queste parole alludono alla “nostalgia imperialista” (Rosaldo, 1989) per mondi in via di estinzione ancora non toccati dalla modernizzazione occidentale.Paradiso, landa desolata, primitivo, lontano dalla civilizzazione.
Anche queste parole alludono a una contrapposizione tra noi e loro, tra civilizzati e non civilizzati, giocando sulla nostalgia per un mondo intatto, puro, non deturpato dalla depravata e inquinata società occidentale.
Riascoltando il suo intervento ho sentito lo stesso moto di fastidio di ottobre, quando ho visto Eleonora dal vivo: quella lista di parole la conosco molto bene, perché continua a puntellare la narrazione della Sardegna e di altri luoghi a me cari, come certe zone del Messico (e sono sicura che a te ne verranno in mente altri).
📚 Assandira, il paradiso fake
Assandira è un romanzo del 2004 di Giulio Angioni, scrittore e antropologo culturale sardo, che racconta perfettamente i punti più dolenti dell’incontro tra una certa imprenditoria turistica isolana e lo sguardo esterno che ne forgia la forma.
Mario, emigrato sardo, e Grete, danese, hanno vissuto per anni in Danimarca, ma entrambi desiderano tornare a vivere in Sardegna per realizzare la loro idea imprenditoriale: vogliono aprire un agriturismo immersivo, di quelli dove le persone possono assaggiare l’esperienza della vita pastorale sarda, quella rude, ruvida, un po’ selvaggia. Fa niente — anzi, meglio! — se sfocia nel grottesco. Per dar vita all’esperienza perfetta, convincono anche Costantino, padre di Mario, che pastore lo è stato davvero, a incarnare il personaggio che i turisti si aspettano da un burbero uomo sardo di un paese dell’interno dell’isola:
«E che cosa vuol dire?» sono state le prime parole del vecchio.
Se l’aspettava, ma a Mario è mancato il fiato. Poi ha detto: «Prima di tutto vuol dire tornare a lavorare qui da noi, senza dover andare via.»
«E che ci torni a fare? E siccome tu vuoi tornare, ci costringi a restare anche la donna, no?»
«E già, qui ti volevo: perché lei qui vuole restare! Tutti vogliono venire qua da noi adesso. Diglielo un po’ tu, Grete, che è così.»
Grete ha fatto un gran sorriso al vecchio e uno di quei sì che sembra andarle l’aria di traverso.
Il vecchio è stato zitto. Ci ha pensato. Ci doveva pensare.
[…] «La terra è mia» tagliava corto a volte, antipatico: […] E adesso, dopo sei anni e più di Danimarca, il figlio gli parlava di tornare a Fraus a rifare il pastore, Mario che non l’aveva fatto mai davvero il mestiere di pastore, non a lungo, non abbastanza per capire la stranezza di questa idea danese di tornare a Fraus per stare dietro a un gregge, suo figlio, e anche lui, il vecchio, dopo anni di pensione di vecchiaia più che meritata buttato in campagna fin da bambino.
«Sì, ma per finta, babbo, no?». E come un disco rotto Mario ripeteva quel ragionamento: «Se siamo una terra per turisti, e noi siamo una razza di pastori, dobbiamo essere i pastori, ma per i turisti».
«Una razza nuova di pastori camerieri?».
«Ecco sì, magari, babbo, sì! Io sono cameriere però nato pastore».
«Meglio un cameriere vero di un pastore finto».
«O babbo, tutt’e due le cose bisogna fare adesso qui per i turisti, perché piacciono a loro certe cose, fatte così all’antica qui da noi. Noi, com’eravamo, per loro siamo belli».
Mario però non era originale. Semplificava cose dette in paroloni da quel professore faccia triste che aveva una teoria su queste nuove smanie di villeggiatura: «Un antico paese rurale, che diventa di colpo luogo per turisti», diceva, «o si dà all’agriturismo, cioè fa o finge di fare quel che ha sempre fatto, oppure lascia fare ad altri, come l’Aga Khan, mare o non mare. Non si scappa, siamo già in ballo e il mondo guarda».
«Sì, ma perché?», chiedeva il vecchio.
«Per migliorare la vita di noi tutti, e anche di qualche altro».
«Questa sarebbe nuova qui da noi».— Assandira, Sellerio Editore, 2004, pagg. 46-48.
Spoiler non tanto spoiler, ché tanto il romanzo inizia con la tragedia: aveva ragione Costantino, a essere scettico.
Se preferisci il cinema, il regista Salvatore Mereu ne ha tratto il film omonimo nel 2020; mi hanno detto sia bello, io ancora non l’ho visto.
Ripensare la storia, celebrarla
Questo episodio di Ojalá ti arriva in una data importante per la Sardegna, il 28 aprile, Sa Die de sa Sardigna, “la giornata della Sardegna”.
Breve, brevissimo riassunto storico
Sa Die ricorda la rivolta popolare del 28 di aprile 1794 che portò all'espulsione dall’isola del viceré sabaudo Vincenzo Balbiano e di oltre 500 funzionari piemontesi durante la dominazione dei Savoia. Una rivolta che iniziò a Cagliari per poi coinvolgere anche Sassari, Alghero, paesi e campagne limitrofe.
L’insurrezione fu l'apice di un malcontento radicato: dopo secoli di dominazione straniera — regno aragonese, nuova corona di Spagna, austriaci — i sardi vedevano disattese le promesse di autonomia e dignità sotto la monarchia dei Savoia.
La ribellione si cala nel contesto del triennio rivoluzionario sardo 1793-96, che iniziò quando il popolo sardo respinse un tentativo di invasione francese. Forte di questo successo, il Parlamento sardo aveva avanzato al re le proprie rivendicazioni attraverso i Cinque Memoriali, chiedendo tra l’altro che le cariche pubbliche venissero assegnate ai sardi.
Di fronte al rifiuto del re, la rabbia esplose e i piemontesi furono infine scacciati.
Un successo che però non portò all’indipendenza, perché l’isola rimase sotto il Regno di Sardegna e la dinastia sabauda. Le aspirazioni più rivoluzionarie, incarnate da figure come Giovanni Maria Angioy, vennero represse con violenza. La Sardegna rimase sotto il Regno di Sardegna fino alla creazione del Regno d’Italia nel 1861.
Sa Die, oggi
Sa Die de sa Sardigna è ufficialmente riconosciuta come giornata del popolo Sardo dal 1993 ed è diventata col tempo molto più di una celebrazione istituzionale: è rievocazione e rivisitazione storica, riflessione politica, musica, canto e festa. Non senza critiche, eh, c’è chi non ha approvato la scelta di questo simbolo per promuovere l’autodeterminazione isolana.
Eppure è una data che tiene viva la memoria, che porta a farsi domande importanti sul futuro della Sardegna, sulle parole e le immagini che scegliamo per raccontarla.
A me, per esempio, piace quello che sta facendo ANS — Assemblea Natzionale Sarda per rilanciare il significato di questa data come momento di riappropriazione popolare, memoria viva, celebrazione della volontà di autodeterminazione e della lingua sarda. Il programma degli eventi che organizzano per Sa Die è davvero ricco, sia a Cagliari che a Sassari, e mi sembra una cosa bellissima.
Raccontare e risignificare la storia, anche nelle sue contraddizioni, è uno degli atti più potenti che una comunità possa compiere per riconoscersi, reinventarsi, raccontarsi dall’interno.
Per approfondire, ti lascio anche l’ultimo post Instagram di Federica Marrocu, guida turistica specializzata in contronarrazione e smontaggio dei luoghi comuni sulla Sardegna: potevo non citarla? Io non vedo l’ora di fare un tour di Cagliari con lei!
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Curiosità da scoprire ✨
Il romanzo che ha per protagonista il mio paese d’origine, Villacidro, è un’altra grande testimonianza letteraria di una Sardegna fuori dai cliché: Paese d’ombre di Giuseppe Dessì (vinse pure il Premio Strega nel 1972).
Più di recente, tra le pagine della letteratura di Sardegna che mi risuona ci sono quelle di Flavio Soriga. Per conoscerlo puoi partire da Nelle mie vene (Bompiani, 2019).
L’ho citata in veste di oratrice, ma Eleonora Sacco ha da poco pubblicato anche il suo secondo libro, Socotra. Viaggio sentimentale in un'isola impossibile (Enrico Damiani Editore). È il racconto/reportage dei suoi viaggi a Socotra come guida turistica, una perla per capire meglio un’isola così lontana, senza cliché.
Il giornalismo sardo che ammiro e diffondo, quello di Sardegna Che Cambia: un progetto che racconta le storie di cambiamento e innovazione in Sardegna, un punto di vista concreto e intersezionale su quello che accade sull’isola e le sue voci.
ITACA è un podcast ideato da Federico Esu che racconta storie di migrazione, radici e ritorni. Con le sue interviste esplora il legame tra le persone sarde e i loro luoghi d'origine, con uno sguardo intimo e politico sulla mobilità contemporanea.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
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Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Alice, grazie per questa meravigliosa puntata di Ojalá. Tocca corde a me carissime, con le quali mi misuro molto spesso da italiana negli Stati Uniti. Faccio esperienza di quello "sguardo esterno che proietta l’idillio" in continuazione per quanto riguarda l'Italia intera, e ovviamente la mia Emilia-Romagna (l'idea che ci sediamo a pranzo in settimana e non ci rialziamo prima di tre ore e tre bottiglie di vino è ancora, ahimè, molto diffusa). La seconda vittoria di Trump ha aperto questo sguardo esoticizzante ancora di più. Sulla Sardegna immagino che quello che chiami immaginario falsato sia ancora più offensivo (non ho problemi a usare questa parola), perché si tratta di una località meno "mainstream" che certe narrative statunitensi definirebbero "inesplorata" o "sconosciuta": inesplorata da chi? sconosciuta a chi? In queste terre vivono persone vere, con la loro vita vera e le loro storie vere le cui radici poggiano su millenni di storia.
C'è poi la questione economica che gioca un ruolo molto importante. Per le persone statunitensi (cito solo loro perché è la realtà che conosco, ma l'esoticizzazione dei paradisi altrui appartiene a tutti i popoli, anche il nostro), anche con il cambio a favore dell'euro - viste le differenze nel costo della vita - l'Italia è un Paese relativamente economico. I racconti come quello di Whoopi Goldberg provengono sempre da titolari di grossi e grassi conti in banca. Graziealcazz che cammini per strada senza stress. Non si rendono conto che le persone sarde/italiane vere, con le loro storie vere, spesso non ne hanno le possibilità materiali.
Non so da dove partire per commentare questa newsletter. Ho troppi pensieri in merito e forse mi serve del tempo. Tanto di quello che dici si può traslare alla Sicilia, o comunque io lo potrei traslare alla Sicilia. Non so esattamente perché, ma mi è venuto in mente "Nuovo Cinema Paradiso", soprattutto la scena che porta alla partenza: "Vattinni, chista è terra maligna". Lo sguardo interno e quello esterno possono essere così diversi, così tanto da fare male, spesso.
PS: GRAZIE.