#61 Non siamo angeli
Di quando una conferenza organizzata per riunire persone LGBTQIA+ si è convertita in uno scomodo spazio di discriminazione.
Qualche giorno fa sono andata a sentire una conferenza che mi ispirava molto: come si intersecano le tematiche e i vissuti LGBTQIA+ nelle community tech?
I titoli degli interventi e le persone che li avrebbero esposti mi ispiravano fiducia. Ho salutato alcune facce conosciute, bevuto un caffè, chiacchierato prima dell’inizio: mi sono seduta contenta e pronta a passare qualche ora interessante.
Poi la conferenza è iniziata, ma sono bastate poche frasi della persona che avrebbe moderato tutto il dibattito per farmi sudare freddo.
Il moderatore non lavorava nel settore tech; si è presentato come uomo gay, giornalista e con esperienza di volontariato in ambito LGBTQIA+.
Sulla carta, una persona competente per condurre un dibattito produttivo come quello che ci aspettavamo.
E invece è stato un disastro. I suoi interventi erano zeppi di micro-aggressioni, battute fuori luogo, talvolta sessiste. Io, le mie amiche, diverse altre persone del pubblico con cui ho incrociato sguardi di incredulità, eravamo allibite. Le persone ospiti sul palco lo erano quanto noi, le loro facce non mentivano.
Nella mia lunga esperienza di partecipante a conferenze ed eventi, raramente mi era capitato di assistere a una discrepanza così forte e imbarazzante tra i temi a calendario e la moderazione della conversazione.
Ho lasciato la sala prima della fine dell’evento. Non sono riuscita a prendere il microfono, formulare un commento, un’osservazione da riportare a voce alta, denunciare la nostra scomodità. Avevo le palpitazioni, incredula. Come me, altre persone sono andate via prima della fine.
Questa esperienza grottesca ha però avuto un risvolto positivo, perché mi ha dato un caso concreto e recente per ribadire dei principi da ricordare sempre:
Le persone LGBTQIA+ non sono tenute a:
Essere di default persone coraggiose e ribelli.
Incarnare per forza valori positivi che le elevano al di sopra dei loro oppressori.
Parlare o avere voglia di parlare “per tutta la loro categoria”.
Esporre il loro “curriculum di diversità” come se valesse più delle loro competenze.
Partecipare agli eventi “inclusivi” come testimoni di vissuti intimi e privati.
Assumere di default il ruolo di esperte di DEI (Diversity, Equity, Inclusion).
Accettare inviti o collaborazioni che casualmente arrivano solo nel mese del Pride.
Hello, siamo persone.
E in quanto tali possiamo anche essere banali, senza nulla da dire, stronze.
Possiamo essere disinformate sulle problematiche che riguardano le persone LGBTQIA+.
Possiamo non avere alcun consiglio utile o rivelatore per migliorare le cose.
Possiamo essere sessiste, razziste, abiliste, violente.
Per creare spazi sicuri serve un impegno collettivo
Ho pensato di scrivere questo numero di Ojalá prima della conferenza che ho appena descritto. L’ispirazione era già nata ascoltando l’intervista all’artista spagnolo-taiwanese e non binariə Putochinomaricón durante il podcast Sabor a Queer.
Proprio all’inizio, a nemmeno un minuto dall’inizio del programma, c’è questo scambio di battute:
Cos’è cambiato dal 2018 o il 2019, l’ultima volta che ti abbiamo intervistato? – chiede l’intervistatore David Velduque.
Penso che abbiamo assimilato il fatto che la violenza non è presente solo negli spazi egemonici, ma anche nei nostri spazi, quelli creati dalle persone del collettivo nelle nostre comunità. E che gli spazi sicuri purtroppo non esistono. – risponde Putochinomaricón.
Uno degli elefanti nella stanza
Non è un discorso facile da fare in una società che ancora stigmatizza le persone LGBTQIA+ per le loro scelte sessuali e identitarie. Come ricorda su Pikara Magazine la scrittrice Elisa Coll, una delle referenti spagnole attuali sulla lotta alla bifobia (invisibilizzazione e discriminazione nei confronti delle persone bisessuali):
Nella riluttanza a parlarne (di violenza nella comunità queer, ndt), ci sono elementi che già conosciamo: la paura di perdere opportunità di lavoro, di diminuire il nostro capitale sociale, di generare uno scandalo, di non essere credute o di essere espulse dalla comunità di cui abbiamo tanto bisogno.
Carmen Maria Machado approfondisce il tema della demitizzazione delle persone e relazioni queer in quella meraviglia di memoir che è Nella casa dei tuoi sogni (Codice edizioni, tradotto da Monica Capuani).
Tema centrale del memoir sono gli abusi psicologici che Machado ha subito dalla sua ex compagna in quella metafora di sicurezza che era la loro casa condivisa. Nel corso del libro ci sono poi dei capitoli che allargano lo sguardo sulla storia e sulla criticità della rappresentazione queer mainstream:
A quanto pare, i cattivi queer diventano molto più interessanti degli altri personaggi gay, sia all’interno di uno specifico progetto o universo, sia nello zeitgeit in generale. Diventano stelle solitarie in una costellazione più ampia; sono contestualizzati.
E questo è molto esaltante, perfino liberatorio; allargando la rappresentazione, si dà alle persone queer lo spazio per diventare — come personaggi e come persone reali — esseri umani.
Non devono essere metafore di perfidia e depravazione o icone di conformismo e docilità (* vedi nota sotto). Possono essere quello che sono.
Ci meritiamo una rappresentazione delle nostre malefatte pari a quella delle nostre gesta eroiche, perché quando rifiutiamo l’idea che un gruppo di persone possa compiere delle malefatte stiamo rifiutando la loro umanità.
Cioè, i queer — quelli della vita vera — non meritano rappresentazione, protezione e diritti per il fatto di essere moralmente puri o retti come persone. Meritano quelle cose perché sono esseri umani e questo è sufficiente.
* Nota. È un cliché nato da un male necessario: la lotta per i diritti civili. Come nel caso della razza, del genere e della disabilità, il tropo della minoranza santa e tutta votata al sacrificio è quello che viene subito dopo l’odio non adulterato, ed è altrettanto pericoloso (anche se per ragioni diverse).
(pagina 77, il grassetto è mio)
Qualche pagina dopo, aggiunge:
La letteratura sull’abuso domestico queer fa pena quanto a riferimenti a questo sogno infranto, che è una trasgressione grave quanto un occhio nero o un polso slogato.
Anche l’inossidabile simbolo queer — l’arcobaleno — è la promessa da parte di un dio capriccioso e iracondo di non ripetere un atto di suprema violenza. […]
Ammettere l’insufficienza di questo idealismo è doloroso quasi quanto ammettere che in questo siamo proprio come il resto della gente: siamo nella merda come chiunque altro. Tutta questa fantasia è un atto di supremo ottimismo, o, se vi sentite meno generosi, di arroganza.
Forse questo cambierà, un giorno. Forse, nel momento in cui l’identità queer sarà così normale e accettata che trovarla non sarà tanto come entrare in paradiso, ma più come la rivendicazione del tuo corpo: imperfetto, ma tuo.(pagina 162, il grassetto è mio)
Risorse per approfondire
Un libro meraviglioso e accessibile per avvicinarti al tema degli studi queer: Queer. Una storia per immagini, di Meg-John Barker e Jules Scheele (Fandango Libri).
Di violenza intragenere si parla ancora pochissimo. Ma qui in Spagna è un discorso che già si tiene, anche se timidamente, in considerazione a livello politico. Nel 2021, per esempio, la giunta regionale andalusa ha pubblicato una guida pratica per l'assistenza delle vittime di violenza intragenere (in spagnolo).
Sei una persona alleata della comunità ma senti che a volte ti mancano le risposte per contrastere i discorsi d’odio sulle persone LGTBQIA+ e sulle loro famiglie?
Se capisci lo spagnolo, trovi un sacco di modi efficaci per rispondere grazie alla Inteligencia Aliada (Intelligenza Alleata) lanciata dalla FELGTBI+ — Federación Estatal de Lesbianas, Gays, Transexuales y Bisexuales.
L’obiettivo di questa fabbrica intelligente di risposte è aiutare tutte le persone alleate che vogliono impegnarsi a sradicare l'odio e la disinformazione a casa, al lavoro, al bar.

In vista delle elezioni Europee
Mentre ci prepariamo ad andare a votare questo fine settimana, ti propongo due petizioni a favore dei diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+ e una pagina da consultare per farti un’idea delle posizioni delle persone candidate:
My voice, my choice: per un aborto sicuro e accessibile. Firma per richiedere alla Commissione Europea di sostenere finanziariamente gli Stati membri nel garantire che chiunque in Europa possa mettere fine alla gravidanza in condizioni di sicurezza e legalità.
Vietare le pratiche di conversione nell’Unione Europea. Firma per vietare tutti gli interventi volti a modificare, reprimere o sopprimere l'orientamento sessuale, l'identità di genere e/o l'espressione di genere delle persone LGTBQIA+. «A causa della loro natura discriminatoria, degradante, dannosa e fraudolenta, tali pratiche sono equiparate alla tortura dalle Nazioni Unite e sono attualmente vietate in un numero crescente di Stati», ricorda il testo della petizione. Dobbiamo ottenerlo dappertutto in Europa.
Vuoi sapere quali delle persone candidate al Parlamento Europeo si impegnano a lavorare concretamente per i diritti, l'uguaglianza e la democrazia delle persone LGBTQIA+ nell'Unione Europea?
Come Out 4 Europe è la piattaforma creata da ILGA Europe che raccoglie tutti i nomi delle persone candidate che si sono impegnate formalmente su questo tema.
Altre volte in cui ho parlato di tech e inclusione
Per questa settimana chiudo qui. Intanto, Happy Pride!
Vuoi scrivermi cosa ne pensi di questa newsletter, propormi una collaborazione o semplicemente mandarmi un saluto?
Fallo: rispondi a questa email o scrivimi su ojala [at] aliceorru.me 📧
Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
Se vuoi curiosare nel mio passato (solo professionale, ah!), usa LinkedIn. Qui ti anticipo che di lavoro progetto testi per siti web e software, traduco molti prodotti WordPress e sono specializzata in linguaggi inclusivi e accessibili. 🌈
Se vuoi approfondire questo tema, potrebbe interessarti leggere Scrivi e lascia vivere, il manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile che ho scritto insieme a Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi (ed. Flacowski). 📚
Per avere una panoramica di quello che faccio, qui trovi una lista sintetica dei progetti pubblici a cui ho partecipato di recente.
Se ormai conosci Ojalá e apprezzi il mio lavoro, dai un’occhiata al piano a pagamento: con meno di 4 euro al mese puoi supportare questo progetto.
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Una questione di cui si parla troppo poco in queste situazione (perché purtroppo siamo ancora al punto in cui bisogna martellare il nothing about us without us) è il concetto di cultura antropologicamente intesa: l'appartenza a una comunità o un'identità ≠ da aver fatto un percorso di decostruzione del proprio vissuto culturale, ed è quello che poi genera certi corticircuiti.
Quanto sono d'accordo con te, Alice. Quanto sono stufa di queste faide interne. Ma quanto c'è bisogno di rappresentazione di ogni tipo, in effetti. Anche di persone queer (disabili, razzializzate) "cattive".