#87 Il tempo dell'intimare
Costruire uno spazio di intimità collettiva per curare un linguaggio nuovo, meno fondato sulla ferma certezza e più aperto ai grigi che non polarizzano.
In questo episodio:
Il revival semantico del verbo intimare, anche in italiano.
La scrittrice Sara Torres e il concetto di tempo per intimare come atto politico.
Svuotare il linguaggio dalla certezza: ce la possiamo fare?
La speranza come innesco capace di alimentare il cambiamento, secondo le parole di Giusi Palomba.
Una biblioteca digitale da condividere con chi sostiene Ojalá.
E poi, letture su: la posticipazione della riforma sulla disabilità, il legame tra biodiversità e lingue parlate dalle popolazioni locali, la campagna dell’8 marzo del Comune di Barcellona.
(L’illustrazione in copertina è il manifesto delle celebrazioni dell’8 marzo 2021 del Comune di Barcellona. Lo aveva illustrato Carmen García Huerta ed è ancora uno dei miei preferiti.)
Ho declinato la settimana passata con il verbo intimare, ma non con il significato che ti verrà subito in mente.
Intimare deriva dal latino intĭmus, intimo, e la Treccani ce ne ricorda il significato originale: «rendere intimo, far penetrare, anche nella mente» e, per estensione, «far sapere, notificare».
Oggi usiamo quel verbo per esprimere decisione, un atto di forza: se intimiamo a una persona di fare qualcosa le stiamo dando un ordine, esercitiamo autorità.
In spagnolo il verbo intimar ha lo stesso significato principale dell’italiano, ma ne ha mantenuto anche un secondo che fa fede alla sua etimologia.
La RAE dice che il secondo significato del verbo è
pasar a tener una amistad íntima, cioè far evolvere una relazione in una “intima amicizia”.
È probabile che l’aggettivo intimo ti faccia pensare a qualcosa che cammina verso il territorio della seduzione o dell’erotismo.
Non deve essere per forza così: lo ha ricordato in uno dei suoi ultimi incontri pubblici Sara Torres, poetessa e scrittrice, al momento una delle voci più intense del panorama letterario spagnolo e riferimento moderno della scrittura del desiderio, soprattutto in ottica lesbica e queer.
Il tempo dell’intimare
Intimar significare concedersi il tempo per creare uno spazio di apertura all’altrə, un terreno di condivisione dove spargere il nutrimento per un linguaggio nuovo.
Pensaci: quando intimiamo con le persone — siano esse vecchie o nuove conoscenze — fondiamo il nostro legame anche su un linguaggio che parla di e per noi; spesso coniamo parole nuove e diamo vita a un lessico familiare, l’idioletto proprio di un nucleo di persone non per forza legate dalle stesse origini genetiche.
Intimare collettivo
In questo periodo storico — e no, non solo quello dell’ultimo mese e mezzo — il tempo pubblico e collettivo sembra scandito dallo sconcerto, dall’osservazione attonita di una (s)comunicazione politica soverchiante che i media di tutto il mondo rincorrono, minuto per minuto.
Nella mia bolla si parla tanto di resistenza1, ne ho parlato anche io, ci credo e di certo non dal biennio 2024/2025.
Di resistenza ho parlato più volte su Ojalá. Se vuoi recuperare alcuni episodi passati, li trovi qui:
Resistere di fronte a un ordine delle cose che spaventa significa trovare anche il tempo di pensare a un linguaggio nuovo, incerto, che non teme di definire i grigi che stanno in mezzo alla polarizzazione.
I fascismi si fondano e proliferano anche sul linguaggio della certezza, ha ricordato Sara Torres durante il suo incontro.
D’altronde lo scriveva anche Michela Murgia nel suo saggio Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018):
Perché mai uno dovrebbe rovesciare le istituzioni se per ottenere il controllo gli basta cambiare di segno a una parola e metterla sulla bocca di tutti? Le parole generano comportamenti e chi controlla le parole controlla i comportamenti.
Quest’affermazione mi è tornata in mente, pungente e profetica, venerdì mattina, quando ho aperto El País e ho letto le notizie dall’Argentina: Milei ha tentato di cambiare la denominazione giuridica dei diversi gradi di disabilità delle persone che possono richiedere una pensione statale; e ha cercato di cambiarle con parole che oggi sono insulti, termini gravemente stigmatizzanti.
Con questo esempio è facile capire cosa intendesse Torres: il linguaggio della certezza è quello che non si mette in discussione; è quello che asfalta i sentieri costruiti collettivamente con parole ferme, sprezzanti degli eventi del passato; è quello che si arroga il diritto di stilare liste di parole bannate; è quello che procede a colpi di “si è sempre detto così” anche quando non è vero, non è mai stato vero. Perché i sempre non esistono, quando si parla di linguaggio.
Cosa c’è dall’altra parte della certezza, allora?
Dall’altra parte c’è il coraggio di prendersi quel tempo di intimità collettiva e costruire un linguaggio nuovo, malleabile, che descrive le esperienze nella loro complessità. Un linguaggio fatto meno di slogan e più di conoscenza reciproca.
Ho preso appunti velocissimi mentre Sara Torres diceva questo:
È un discorso che dobbiamo farci anche tra minoranze. Parlare di noi con frasi fatte non ci permette di conoscerci davvero.
Portare fuori le parole dagli slogan dentro cui le abbiamo arroccate significa svuotare i discorsi dalla certezza; perché la certezza è il territorio in cui non c’è spazio per tessere legami, per l’apertura alla visione dell’altrə.
Puntare i piedi sul territorio della certezza ci tiene ferme nelle nostre posizioni e nel paradossale loop per cui potremmo iniziare ad aver paura anche di chi la pensa come noi.
Ci servono i grigi, ci servono parole sincere, non roccaforti con cui guardarsi dall’alto dei rispettivi cocuzzoli; ci servono parole che siano strumento d’azione.
Ci serve speranza, come quando intimiamo con una persona nuova e in quell’atto riponiamo la fiducia di uno spazio da far crescere insieme.
È con quel sentimento lì che mi sono segnata questo passaggio dall’ultima newsletter di
, autrice di La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere (Minimum Fax, 2023):Servono strumenti accessibili e popolari (ad esempio questo post di Cronache Ribelli) per sottrarre energie alla retorica del wokismo, strumenti che spieghino i nostri approcci, che il linguaggio è importante ma non è tutto: ha una funzione politica, ma la politica non si esaurisce in esso.
Essere un punto di riferimento solido per chi subisce la disinformazione politica, per chi non ha il privilegio di una comunità resistente intorno, significa anche imparare a sopravvivere ai conflitti e alla violenza, e poter recuperare chi cade nelle trappole delle provocazioni mediatiche.
A volte il linguaggio ci serve soltanto per capire se siamo in stallo o se ci stiamo muovendo. In gruppo, propongo spesso un esercizio: esprimere in una parola le emozioni, le sensazioni predominanti all’idea di lavorare su temi complessi come i conflitti e la violenza. Le risposte più comuni sono:
Preoccupazione, tristezza, sfiducia, costernazione, delusione, colpa, paura.
Più raramente: responsabilità, scomodità, rabbia.
Solo a volte: speranza.
Dopo questa espressione collettiva, discutiamo del valore di queste parole/emozioni: le prime paralizzano, le seconde possono essere il punto di partenza. La terza è l’unico vero innesco capace di alimentare il cambiamento.
💡 Ci ho scritto un post lungo su LinkedIn e non lo ripeterò tutto qui, ma: Ojalá tra poco compie quattro anni. Questo lavoro si alimenta grazie a una biblioteca digitale ricchissima, composta da centinaia di risorse sulle molteplici declinazioni dei linguaggi inclusivi e accessibili.
Ho deciso che era ora di fare il salto e condividere questa biblioteca con le persone che sostengono il mio lavoro di scrittura con un abbonamento annuale a Ojalá. La biblioteca digitale di Ojalá vivrà in un sito web autoprodotto che inizia a prendere forma e colore, anche grazie all’insostituibile aiuto della mia partner in creativity Claudia Di Dio.
Ne sono già molto orgogliosa: lo sto pensando come uno spazio di condivisione, che si allargherà con il tempo e, spero, con l’appoggio delle persone che continueranno a sostenere Ojalá in futuro.
Se questa biblioteca ti incuriosisce, sappi che per il momento ho fissato a 32 euro l’abbonamento annuale a Ojalá; è un importo che terrò in sconto, al posto dei 40 euro standard, fino al lancio di questa piattaforma che sta per diventare realtà.
Parole e azione ✨
Il governo italiano ha rinviato in sordina l’attuazione della Riforma sulla disabilità, posticipando al 2027 (sì, di due anni!) misure che dovrebbero garantire maggiore autonomia alle persone con disabilità: la notizia non è stata divulgata dal governo ma dal professor Ciro Tarantino nell’articolo Il gioco del silenzio sul magazine di Informare un H. Il silenzio del governo solleva interrogativi sulla volontà politica di attuare la riforma e di coinvolgere le associazioni di persone con disabilità nel processo decisionale.
Preservare le lingue in via d’estinzione potrebbe essere anche uno strumento per contrastare la crisi climatica: questo articolo pubblicato su Noema spiega lo stretto legame tra biodiversità e lingua. (Grazie a Donata per la segnalazione)
Guardiamoci negli occhi. È il motto della campagna Rompamos la precariedad (“rompiamo la precarietà”) per l’8 marzo lanciata dal Comune di Barcellona. Il tema è la necessità di una conversazione chiara e diretta sulla precarietà sociale delle donne:

Nel canale YouTube del Comune puoi vedere anche il formato video della campagna.
I dati della campagna vengono dal report 2024 sugli indicatori statistici dell’uguaglianza di genere dell’Instituto de las mujeres spagnolo e dal report 2024 “Il genere in cifre” (in catalano), con cui il governo barcellonese analizza le disuguaglianze di genere in ogni ambito della vita quotidiana a Barcellona.
Ti piace scoprire campagne di marketing, iniziative e letture originali che parlano di nuove parole, inclusione e accessibilità digitale? Ojalá è nata per questo:
Come suonerebbe questo episodio di Ojalá?
Tutta la musica che consiglio su Ojalá atterra su questa playlist collaborativa su Spotify. Che canzone assoceresti a questo episodio? Scrivimelo via email o nei commenti di Substack. 🎶
Per questa settimana chiudo qui.
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Rispondi a questa email o scrivimi su ojala [at] aliceorru.me 📧
Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Via newsletter, per esempio, di recente ne hanno scritto
con Come facciamo a resistere senza diventare complici?, con Tre parole, con Dalla narrazione tossica del politicamente corretto e del "wokismo" agli strumenti della resistenza.
Idioletto ❤️
Mi hai fornito un nome per qualcosa che conoscevo senza poterla nominare.
Non ci avevo mai pensato allo statuto flessibile della parola 'intimare', che racchiude due opposti. Sarebbe bello se anche la lingua italiana riuscisse pian piano a scivolare verso il dolce significato originale di un intimo procedere.
È una sfumatura che io uso spesso parlando di lettura ad alta voce, quando faccio gli esempi di una lettura pubblica con un gruppo nutrito di bambine e bambini, diversa da una lettura intima e familiare che si può fare a casa.