#96 Follow the money
Capire dove vanno i nostri soldi è un atto di cittadinanza finanziaria. E aiuta a non soccombere al senso di impotenza.
L’ultimo numero di Ojalá veniva da un buco spazio-temporale in cui non esiste l’energia elettrica e le narrazioni idilliche si sprecano.
In questo episodio:
Confessione: sono la ragioniera di casa e mi piace trovare soluzioni per gestire meglio i risparmi.
Le scelte che facciamo sui soldi: una riflessione su etica finanziaria e reale possibilità di coerenza.
La domanda delle domande: cosa possiamo fare? (Sì, parlo di nuovo di Palestina.)
Il linguaggio delle soluzioni, chiaro e accessibile: idee da Francesca Albanese e Michela Calculli.
La bozza di un’email da mandare a chi gestisce i tuoi risparmi, magari può tornare utile anche a te.
Un estratto da Scrivi e lascia vivere sul linguaggio chiaro nel settore finanziario. Un episodio del podcast
. Un progetto palestinese da sostenere.
Nota: Ojalá è stata la prima newsletter in italiano a parlare di scrittura inclusiva e accessibile. Dal 2021 a oggi è cambiata spesso, ma il suo cuore è rimasto uguale: esplorare i linguaggi inclusivi e rispettosi nelle loro declinazioni più trasversali. Per me significa trovare le parole, o analizzare quelle esistenti, per raccontare il mondo che mi circonda. Anche quando cade a pezzi, quando mi sento impotente, quando non sono d’accordo con quello che vedo.
Non credo nella neutralità: il linguaggio è e sarà sempre un atto politico. Lo è anche Ojalá, che rivendica con orgoglio questa identità.
Due altri episodi di Ojalá sulle parole che abbiamo e su quelle che non vogliamo vedere quando si parla di Palestina: Smontare le parole e Non lo so tradurre, ma esiste.

Se potessi tornare indietro nel tempo, probabilmente non sceglierei di nuovo la facoltà di Economia. Mi piace pensare che oggi avrei il coraggio di seguire la strada che allora misi da parte, ingarbugliata tra sensi di colpa, responsabilità e l’eco insistente del “posto fisso”1.
Studiare Scienze Economiche, in ogni caso, mi era piaciuto. Non sono mai diventata l’economista dello sviluppo che sognavo di essere a vent’anni, ma quello che ho imparato mi accompagna ancora oggi. Mi ha resa più lucida su come si parla di soldi nel mondo e su quanta manipolazione si nasconda dietro certi discorsi; mi ha anche fatto sentire a mio agio nel prendermi cura dei conti di casa, nel ruolo che chiamo di “ragioniera domestica.”
La parte più utile e quotidiana dei miei studi si concretizza nel piacere di gestire i risparmi — sia i miei, come lavoratrice autonoma, sia quelli della famiglia.
Le scelte sui soldi
Da qualche anno abbiamo iniziato a diversificare i nostri risparmi su alcuni prodotti finanziari. Una parte sta in un fondo comune di obbligazioni a basso rischio, poi sia io che il mio compagno abbiamo un fondo pensione individuale e un fondo di investimento indicizzato.
Una delle mie preoccupazioni più grandi quando ho iniziato a informarmi su come gestire i nostri risparmi è stata l’eticità dei prodotti finanziari che avremmo scelto.
Lo so: affiancare l’etica alla finanza è un terreno scivoloso, a volte infestato da proposte che sanno più di washing che di realtà.
Eppure, sia in Italia che in Spagna, esistono enti bancari che fanno della gestione etica del denaro la loro proposta di valore. Ed è un proposito che realizzano molto bene.
So anche che la scelta di una banca dipende da moltissimi fattori personali. Non tutte le persone hanno la libertà di scegliere la banca che avrebbero preferito, e lo scrivo con la consapevolezza delle esperienze familiari che ho vissuto nel corso degli anni.
Ci sono condizioni oggettive che pesano tantissimo:
Le condizioni economiche di partenza: chi ha poco capitale spesso ha meno possibilità di accedere a prodotti bancari più vantaggiosi o a istituti etici, che talvolta richiedono costi di gestione più alti o offrono meno servizi accessori.
La documentazione richiesta: se hai provato ad aprire un conto da persona migrante appena arrivata in un nuovo Paese, o hai aiutato un’altra persona a farlo, sai quanto la scelta possa essere limitata o addirittura ostacolata.
Lo status lavorativo o familiare: precarietà, contratti atipici o mancanza di garanti difficilmente si conciliano con l’accesso a determinati strumenti finanziari.
Presenza sul territorio e accessibilità digitale: se vivi in una zona dove la banca che vorresti scegliere non ha filiali vicine, o se hai poca dimestichezza con la tecnologia e i suoi servizi online non sono intuitivi o accessibili, può diventare davvero complicato gestire un conto.
Insomma, qualsiasi scelta finanziaria può essere condizionata da fattori indipendenti dalla nostra volontà. Non tutte e tutti possono permettersi le opzioni considerate più etiche o più convenienti, e credo sia importante riconoscerlo. A volte la realtà materiale ci chiede compromessi che non vorremmo fare — la vita sotto il capitalismo, che cosa meravigliosa eh?
Proprio per questo, negli ultimi 19 mesi l’attenzione al destino dei miei soldi è diventata per me ancora più urgente. Non solo come scelta personale, ma come riflessione collettiva su cosa contribuiamo a finanziare, anche senza volerlo.
Cosa possiamo fare?
Questo episodio di Ojalá nasce dal desiderio di riflettere sull’impatto che i nostri soldi possono avere. L’idea mi è venuta ascoltando due conversazioni su Instagram, in entrambe è emersa una domanda che mi risuona ogni giorno più urgente: cosa possiamo fare?
Il contesto in cui l’ho sentita ora ti sembrerà slegato dall’incipit, ma credimi, non lo è affatto.
La prima conversazione è questa: la settimana scorsa, in una diretta su Instagram, Francesca Albanese ha parlato per un’ora con due giornalisti, Mariangela Pira e Pablo Trincia.
Francesca Albanese è la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967: spero tu l’abbia già intercettata in giro per il web; magari hai letto il suo nome anche in questa newsletter, se la leggi da più di due settimane.
Durante la diretta, Albanese ha spiegato con un linguaggio chiaro e accessibile molti aspetti che possono aiutarci ancora meglio a capire l’attuale genocidio in Palestina: cosa sta succedendo ora, perché è importante chiamarlo così, quali sono gli interessi economici e geopolitici dietro questa inenarrabile tragedia e dietro la corsa agli armamenti dei nostri governi.
Ho apprezzato moltissimo il suo invito a non perdere di vista i segnali di cambiamento. Parla di una mobilitazione globale senza precedenti: proteste nelle piazze, persone sempre più attive nel promuovere boicottaggi, disinvestimenti, richieste di sanzioni e giustizia, anche verso governi e imprese complici.
Questa partecipazione, ha sottolineato, è nuova e significativa proprio perché sta avvenendo su scala internazionale.
Le è stata poi fatta la domanda che ritorna ogni volta che si affronta questo tema, insieme al senso di impotenza che ci accompagna mentre assistiamo in diretta al genocidio perpetrato dal governo israeliano in Palestina, con la complicità a distanza di diversi Paesi del cosiddetto “mondo occidentale”, incluso il nostro: cosa possiamo fare?
6 risposte concrete
Ho trascritto e sintetizzato le risposte di Francesca Albanese, perché a me hanno dato speranza e ricordato che sì, abbiamo potere e capacità d’azione, anche nel nostro piccolo. Spero possano dare idee anche a te:
Vedere e capire
Informarsi su cosa sta accadendo e perché, andando oltre la narrazione mainstream. Per esempio, guardando documentari come l’australiano Stone Cold Justice del 2014.
Comprendere il legame tra le azioni di Israele e il sostegno storico e attuale di Stati Uniti e altri governi occidentali, così come il sistema di interessi economici, politici e militari che rende possibile l’occupazione e la violazione dei diritti umani nei territori palestinesi.Rifiutare il senso di impotenza
Non credere alla narrazione per cui le persone comuni non hanno alcun potere.
Riscoprire il nostro ruolo attivo nella politica: nei nostri luoghi di lavoro, in famiglia, nelle piazze.Prendere ispirazione dai gesti di protesta storici e dall’attualità
Ricordare il gesto del 1984 di Mary Manning, la cassiera irlandese che si rifiutò di passare alla cassa pompelmi sudafricani, boicottando così i prodotti provenienti dal regime di apartheid del Sudafrica: un piccolo atto di disobbedienza civile che diede il via a un grande movimento.
(Qui un breve video in inglese con sottotitoli che racconta il gesto di Manning, incredibilmente non ho trovato nulla di significativo in italiano.)
Ricordare che oggi ci sono persone che lavorano nei porti di diverse città italiane, tra cui Genova e Ravenna, che si stanno opponendo al trasporto di armi destinate a Israele.Opporsi alle logiche mafiose di intimidazione
Riconoscere e denunciare i meccanismi internazionali che proteggono il governo di Israele dalle critiche e silenziano chi si oppone alle sue politiche.
Albanese paragona questa strategia alle modalità con cui la mafia storicamente ha agito in Italia: intimidazione, isolamento di chi denuncia, tentativi di screditare le voci scomode.
Chi si batte per la giustizia e i diritti umani non deve lasciarsi intimidire: è fondamentale continuare a parlare, informare, opporsi alle pressioni e pretendere responsabilità a livello istituzionale e politico.Per chi lavora in ambito legale
Difendere i diritti costituzionali di chi viene arrestato ingiustamente, in particolare attivisti e persone che si oppongono pubblicamente alla politica israeliana nei territori occupati.Sostenere il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni)
Controllare dove spendiamo e investiamo i nostri soldi, evitando di alimentare l’industria bellica o finanziare aziende complici dell’occupazione palestinese.
💡 Il movimento BDS è una campagna internazionale non violenta nata su richiesta della società civile palestinese.
Il suo obiettivo è esercitare pressione economica, politica e culturale su Israele attraverso il boicottaggio di prodotti e aziende complici, il disinvestimento da fondi e attività economiche legate all’occupazione e la richiesta di sanzioni da parte dei governi.
È uno strumento concreto per chiedere il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale: qui trovi tutte le informazioni sul movimento BDS italiano.
Altra cosa che possiamo fare
Il sesto punto della lista di risposte date da Albanese si lega alla seconda conversazione che ha ispirato questa newsletter.
Giovedì scorso ho ascoltato le storie Instagram di Michela Calculli: lei è educatrice finanziaria, blogger e formatrice, specializzata nella comunicazione chiara e accessibile di temi complessi come economia, finanza e fisco.
Michela parlava proprio di come la consapevolezza finanziaria possa essere una forma concreta di attivismo per ridurre la sensazione di impotenza di fronte agli eventi globali. Ha suggerito, per esempio, di guardare con spirito critico performance anomale dei nostri prodotti finanziari, che in tempi di crisi come questi potrebbero riflettere profitti da settori controversi.
E poi ha proposto un’azione immediata: capire cosa e chi finanziano i soldi che teniamo in banca, nei nostri fondi di investimento o fondi pensione, è un passo fondamentale per orientare le nostre scelte.
Come si fa?
Per legge, quando apriamo un fondo pensione o di investimento riceviamo anche la documentazione con il dettaglio delle emittenti che compongono il fondo.
Quella lista è preziosa perché ci permette di controllare subito quali aziende o settori stiamo finanziando e di valutare se il fondo rispetta davvero i nostri criteri etici.
Ascoltare Michela Calculli mi ha acceso la lampadina.
Sono andata subito a controllare il dettaglio del mio fondo pensione.
Sul fondo di investimento avevo meno dubbi: l’abbiamo scelto perché è un fondo ESG, ne conosco già la composizione e sono abbastanza tranquilla.
💡 Se ti stai chiedendo cosa significa: ESG sta per Environmental, Social e Governance. Sono fondi che investono in aziende che rispettano criteri ambientali, sociali e di buona gestione aziendale, per esempio riducendo le emissioni, tutelando i diritti delle persone lavoratrici o garantendo trasparenza e lotta alla corruzione.
Non tutti i fondi ESG sono uguali, però: alcuni sono più rigorosi, altri si bagnano nelle acque del greenwashing o del social washing. Come ricordava anche Michela nel suo discorso, informarsi con attenzione è fondamentale.
Al fondo pensione, invece, non avevo pensato.
Ignoranza mia, complice anche il fatto che in Spagna i fondi pensione funzionano in modo diverso dall’Italia e includono limiti di investimento che non ti sto qui a spiegare.
Con un po’ di ricerche incrociate, ho scoperto che una parte del mio fondo include azioni di grande aziende del settore bellico come Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman nonché Elbit Systems, una delle principali aziende israeliane nel settore della difesa e della tecnologia militare.
Mi sono quasi sentita male. Poi ho scritto un’email.
E l’ho mandata all’azienda spagnola che gestisce i miei risparmi.
Ho deciso di riadattarla un po’ e condividerla qui perché magari può essere di ispirazione anche a te, se hai appena verificato di essere nella mia stessa situazione con uno dei tuoi prodotti finanziari.
Naturalmente è solo un esempio: puoi usarla come spunto da personalizzare secondo la tua esperienza o per avviare una conversazione con lə consulente finanziariə a cui ti affidi, se hai una persona in carne e ossa con cui parlare.
Gentile […],
Sono vostra cliente e ho aperto con voi il piano pensione [XXX] e il piano di investimento [XXX]. Per quest’ultimo, ho apprezzato molto la possibilità di scegliere l’opzione con fondi ESG.
Vorrei pertanto chiedervi se state valutando la possibilità di offrire una scelta analoga anche per i piani pensione, così da consentire a noi clienti di allineare i nostri investimenti a criteri etici e di sostenibilità.
Dopo aver analizzato la composizione del mio piano attuale, ho riscontrato che alcuni degli ETF inclusi — in particolare [XXX] — risultano significativamente esposti a società legate all’industria bellica o attive in aree di guerra (per esempio Lockheed Martin, Raytheon o Elbit Systems).
Per ragioni etiche e personali, vorrei evitare che i miei risparmi previdenziali possano contribuire, anche indirettamente, al finanziamento dell’industria degli armamenti o di politiche di guerra.
Vi chiedo quindi:
Se sia possibile introdurre un’opzione di piano pensione basata su fondi ESG con esclusioni rigorose di armi, combustibili fossili e altri settori controversi.
O, in alternativa, se sia possibile selezionare una soluzione più sostenibile all’interno della vostra offerta attuale.
Vi ringrazio fin da ora per l’attenzione e resto in attesa di un vostro cortese riscontro.
So bene che una singola richiesta come questa non cambierà le strategie di investimento di una grande realtà finanziaria. Ma lo considero il mio atto di cittadinanza finanziaria: più alziamo la voce, più rumore facciamo.
Una citazione da Scrivi e lascia vivere
Oggi ti lascio un estratto dal contributo di Michela Calculli per Scrivi e lascia vivere, il manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile che ho scritto insieme a Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi:
Quello della finanza è un linguaggio che esclude in tanti modi diversi. A partire dai tecnicismi (e anglicismi) incomprensibili e volutamente escludenti, nonché brutti. Un esempio? Shortare, termine orribile legato ad attività speculative e per nulla etiche.
Parliamo dunque di un’esclusione voluta e perseguita, che vede le persone fatte fuori in partenza: giovani, donne, soggetti con un basso reddito come pure il livello di istruzione. Tutte e tutti fuori.
[…] Quello di un linguaggio finanziario più inclusivo, e accogliente aggiungerei, è quindi un esercizio da perseguire proprio per le ricadute sociali importanti che porterebbe con sé. Un maggior accesso informato alla finanza significa minor spazio per la speculazione e investimenti più etici e sostenibili, quindi a beneficio dell’intera collettività.
— Michela Calculli, contributo su Scrivi e lascia vivere, Ed. Flacowski, pag. 159
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Due link per continuare a esplorare
Fund a Kitchen in Gaza è lo strumento gratuito per localizzare le cucine di Gaza che forniscono e distribuiscono pasti urgenti a centinaia di migliaia di persone. È un progetto di Humanti Project, collettivo che condivide risorse e azioni strategiche per esercitare una pressione politica e sociale e fare politica attiva.
Parole, parole, parole finanziarie: il lessico e i tecnicismi finanziari sono protagonisti dell’ultimo episodio di puntino, il podcast dello UX content studio di Elena Rebaudengo e Valentina Ziliani.
Come suonerebbe questo episodio di Ojalá?
La canzone che risuona mentre scrivo è Money dei Pink Floyd:
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Per questa settimana chiudo qui.
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Sono Alice Orrù, sarda emigrata a Barcellona nel 2012.
Fiera della sua residenza, la mia newsletter contiene incursioni di vita catalana e tanta, tanta salsa brava. 🍟
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Grazie per aver letto fino a qui. 💙
Alice
Mi piace specificare che negli anni ho comunque seguito la vocazione “altra” che misi da parte a 18 anni: studiare più lingue, imparare a comunicare e tradurre, leggere tantissimo e scrivere, anche per lavoro.
Grazie Alice, come sempre. Io di economia e finanza non ne capisco nulla, e mi sono dovuta forzare anche per leggere questa tua newsletter che mi viene l'angoscia anche solo a vedere la parola "soldi". E invece tu hai dato indicazioni utilissime e pratiche, come sempre. E io ho in bozza l'email da inviare domani alla mia consulente finanziaria. Ecco. Grazie.
Quello era l'obiettivo, passare informazioni pratiche, da usare subito (ed evviva le consulenti finanziarie!). Mi fa piacere le abbia trovate utili 💙